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La maggioranza silenziosa dei nuovi indifferenti

Nell’Italia fascista del 1929, Alberto Moravia raccontava «gli indifferenti». Novant’anni dopo, nell’Italia a trazione populista e sovranista, avanza spavalda una schiera di «nuovi indifferenti». Ma se gli indifferenti esplorati da Alberto Pincherle erano figli della borghesia italiana degli anni Venti e Trenta, inguaribilmente malata di noia, ossessionata dal denaro e dalla brama di successo sociale, oltre che priva di una sua linea morale in grado di fronteggiare il fascismo trionfante… i nuovi indifferenti sembrano oggi moltiplicarsi come funghi.

Non un popolo intero, ma sicuramente una maggioranza silenziosa decisiva nelle urne. Uomini e donne in preda al terrore di perdere quel tanto di benessere conquistato nel secondo dopoguerra, sembrano ora disponibili a farsi irretire dalle lusinghe di un nuovo strisciante autoritarismo che promette sicurezza in cambio di un’inevitabile limitazione delle libertà. Basti solo pensare alla drammatica e fortunata espressione «prima gli italiani» che percorre come un brivido interminabile il nostro Paese da Nord a Sud, con inevitabili contraccolpi para secessionisti ed evidenti estremismi del tipo «prima i veneti» o «prima i sardi».

Tutte manifestazioni di un sovranismo debordante che intende premiare ogni piccola rivendicazione territoriale a scapito di un fine superiore o di un interesse generale. Per non parlare dello schiaffo alla prospettiva del bene comune, cioè di tutti e di ciascuno. Dunque, novant’anni dopo, una minoranza di indifferenti figli di una borghesia italiana avida e imbelle, sembra aver lasciato il posto a un popolo di nuovi indifferenti marchiati dalla globalizzazione.

Qui viene in soccorso Papa Francesco che, profeticamente, ha introdotto nel dibattito pubblico «la globalizzazione dell’indifferenza». Un’espressione che lui continua a riproporre soprattutto in relazione alla fatica della pace, ai terrorismi e ai conflitti, alla corruzione, alla distruzione dell’ambiente, alla costruzione di nuovi muri, alla chiusura delle frontiere, alle porte sbattute in faccia ai più poveri e ai più deboli, all’assenza di compassione nei confronti degli altri. Il che evoca una risposta di tipo strutturale, propriamente politica, cioè figlia di una volontà collettiva. Risposta che, a dire il vero, sembra latitare, considerate le spinte prevalenti nel mondo globale. Da Trump a Putin. Per usare una vecchia espressione: il Papa condanna il peccato, non il peccatore. Ma forse, data l’urgenza dei tempi e i processi di disumanizzazione in atto, sarebbe opportuno dare un nome e un cognome ai protagonisti della globalizzazione dell’indifferenza.

Ai seminatori di paure e di intolleranze, ai nuovi estremisti, ai razzisti di ogni genere e cultura, ai prevaricatori abituali, ai cultori dell’irresponsabilità, ai leoni da tastiera, agli odiatori professionali. Dare un nome e un cognome a tutti loro è una semplice, onesta assunzione di responsabilità. Di cui tutti, noi per primi, abbiamo maledettamente bisogno. Per amore della verità, anche verso noi stessi.