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La resa di Mattarella alla mancanza di responsabilità dei partiti

«Non vi è alcuna possibilità di formare un governo sorretto da una maggioranza nata da un accordo politico». Sergio Mattarella ha atteso oltre due mesi dal voto, confidando nella ragionevolezza dei partiti che si erano dichiarati «vincitori» il 4 marzo. Al termine del terzo giro di consultazioni, ieri pomeriggio, ha preso le sue decisioni.

Escluso fin dall’inizio un «governo politico di minoranza», come chiedeva Matteo Salvini, perché «poco rispettoso della logica democratica», visto che nascerebbe per portare presto al voto, ed escluso anche che rimanga in carica il governo Gentiloni che «ha esaurito la sua funzione e non può ulteriormente essere prorogato in quanto espresso, nel Parlamento precedente, da una maggioranza parlamentare che non c’è più», rimangono sul tappeto solo due ipotesi. La prima è quella auspicata dallo stesso Mattarella: «un governo neutrale rispetto alle forze politiche», un «governo di servizio», pronto a dimettersi se si verificasse il «miracolo» di un accordo politico solido, oppure in carica fino a dicembre per approvare la manovra finanziaria e portare il Paese al voto agli inizi del 2019. «Un governo di garanzia», ha rimarcato Mattarella, i cui componenti devono assumersi «l’impegno a non candidarsi alle elezioni».

Ma anche questa soluzione richiede un voto di fiducia da parte del Parlamento e allo stato attuale sembra improbabile che possa avere il sostegno di Lega e Movimento 5 Stelle. «L’ipotesi alternativa – afferma il Capo dello Stato – è quella di indire nuove elezioni subito, appena possibile, gestite dal nuovo governo». ma avverte: «Non vi sono i tempi per un voto entro giugno. Sarebbe possibile svolgerle in piena estate, ma, sinora, si è sempre evitato di farlo perché questo renderebbe difficile l’esercizio del voto agli elettori. Si potrebbe, quindi, fissarle per l’inizio di autunno».

Il voto in autunno è dunque possibile, ma assai rischioso per Mattarella, che teme «non vi sia, dopo il voto, il tempo per elaborare e approvare la manovra finanziaria e il bilancio dello Stato per il prossimo anno. Con il conseguente, inevitabile, aumento dell’Iva e con gli effetti recessivi che l’aumento di questa tassa provocherebbe». Oltre al «rischio ulteriore di esporre la nostra situazione economica a manovre e a offensive della speculazione finanziaria sui mercati internazionali». E non si nasconde che anche il ricorso così veloce ad un nuovo voto e con la stessa legge elettorale possa lasciare il Paese ancora una volta senza una maggioranza solida, oltretutto con «schieramenti resi probabilmente meno disponibili alla collaborazione da una campagna elettorale verosimilmente aspra e polemica».

Mattarella ha concluso auspicando dalle forze politiche «una risposta positiva, nel senso dell’assunzione di responsabilità nell’interesse dell’Italia, tutelando, in questo modo, il voto espresso dai cittadini il 4 marzo». E sarebbe la prima volta ­ constata amaramente ­ che «il voto popolare non viene utilizzato e non produce alcun effetto».

«Da oggi ci mettiamo in campagna elettorale e andiamo a raccontare questi due mesi di bugie e cinismo dei partiti, siamo sicuri che questa volta gli italiani ci daranno il consenso per votare», ha subito commentato su facebook Luigi Di Maio. Ma la campagna elettorale non si è mai interrotta, così come la sequela di bugie e promesse non mantenibili. A partire dalla pretesa di M5s e Lega di votare l’8 luglio, ben sapendo che è tecnicamente impossibile. C’è solo da augurarsi che gli italiani abbiano aperto gli occhi o tra qualche mese assisteremo allo stesso teatrino.