Opinioni & Commenti

La teoria del «gender» colpisce ancora!

La Società giapponese di psichiatria e neurologia ha aggiornato nel 2012 le linee guida per il «trattamento dei bambini con disordini dell’identità di genere». Viene raccomandato di trattare questi bambini fin dall’età di 12 anni (o anche prima se necessario) con sostanze (in questo caso non posso chiamarle farmaci perché si tratta di prodotti chimici che fanno funzionare male ciò che funziona bene, almeno sul piano biologico) le quali bloccano il passaggio alla pubertà. Questi prodotti inibiscono l’effetto dei neuro-ormoni prodotti da una parte del cervello – l’ipotalamo – che regolano l’avvio e poi il mantenimento, tramite le gonadotropine ipofisarie, della funzione ovarica o dei testicoli.

Questo blocco viene mantenuto artificialmente per due o tre anni durante i quali gli adolescenti, che devono assumere di continuo le sostanze bloccanti, rimangono ancora allo stato prepuberale. Intorno ai 15 anni viene accertato se persiste il desiderio «impellente» di rifiutare il proprio sesso. In caso affermativo si comincia a somministrare gli ormoni sessuali tipici dell’altro sesso. Con una precisazione: se un maschio vuole «trasformarsi» in una femmina bisogna dare subito estrogeni perché questi ormoni femminili non farebbero scomparire i peli della barba o l’abbassamento della tonalità vocale se questi caratteri stanno già comparendo. Se invece è una bambina che vorrebbe «diventare un maschio» si può anche aspettare un po’ perché l’ormone maschile, il testosterone, può facilmente arrestare i flussi mestruali, causare rapidamente l’abbassamento del tono della voce tipico dell’uomo e far comparire la barba.

Fin qui le raccomandazioni della Società giapponese, condivise anche dai gruppi che operano nel settore in alcuni altri paesi nel mondo (Olanda, Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti e Australia). Più avanti si provvederà ad eventuali interventi chirurgici correttivi sugli organi genitali e a continuare la somministrazione degli ormoni del sesso opposto. È possibile considerare «naturale» tutto questo? Si è sicuri che non si producano ulteriori sofferenze procrastinando lo sviluppo puberale? Si può escludere che le eventuali decisioni di un adolescente (condivise ovviamente anche dalla famiglia e dai medici e psicologi) siano irreversibili? Che succede se si volesse tornare indietro?

Sembra che si voglia dar vita al potente mitico androgino di Anassagorica memoria. In realtà non si cambia niente nella sostanza. La coppia dei geni XY, tipici del sesso maschile, o quella XX della donna, seguitano ad essere presenti in tutte le cellule del corpo, comprese quelle delle ghiandole e degli organi genitali. Molti pediatri, endocrinologi, psichiatri, psicologi, psicoterapisti, filosofi e sociologi in Italia e nel resto del mondo, non condividono le modalità di approccio al problema come indicate dal protocollo giapponese. A Firenze si è aperto recentemente un dibattito in seguito alla richiesta di autorizzazione, rivolta alla Regione Toscana, per l’ applicazione del protocollo anche in un reparto di Careggi. L’assessore alla Sanità ha preso tempo nell’attesa di conoscere il parere del Comitato etico regionale.

Si dice: ma quello che conta non è quello che si è ma ciò che uno sente o desidera di essere. Se un bambino non accetta di essere maschio, diamogli la parvenza di donna, così sarà sereno e tranquillo! La teoria del «gender» colpisce ancora! Non vorrei che tra qualche anno ci si accorgesse che ha prodotto molti più danni che benefici. Per altre teorie nel campo educativo molto di moda negli anni passati è successo così. Non sarebbe meglio aiutare i nostri figli ad accettarsi per quello che sono? Si tratta, infatti, di problemi di carattere psicologico, anche quando l’insofferenza è tale da diventare patologica. Si è certi che gli episodi drammatici riportati dalle statistiche (un maggior numero di suicidi negli adolescenti che soffrono per «disforia di genere») non siano dipesi da una scarsa attenzione delle famiglie o dall’atteggiamento di dileggio da parte dei pari e non dal conflitto interiore? La fase della vita che precede e accompagna la pubertà è chiamata comunemente «crisi» perché il cambiamento così radicale del proprio corpo e del mondo interiore, la novità dei sentimenti, la pulsione ad «uscire dal nido protettivo della famiglia» attraverso la contestazione, la «paura» di affrontare le proprie dirette responsabilità nel mondo esterno, causano difficoltà e sofferenza. È questo il momento nel quale c’è bisogno di un di più di amore, di comprensione, di pazienza e, talvolta, anche dell’aiuto di chi è preparato a dare un supporto psicologico qualificato.

I medici giapponesi del gruppo che si occupa della cosiddetta «disforia di genere» si meravigliano che la metà degli e delle insegnanti non sappiano che il ministero dell’Educazione, cultura, sport, scienza e tecnologia incoraggia l’applicazione del protocollo e che non segnalino casi da trattare. Gli insegnanti rispondono che a loro non capitano mai o al massimo qualche rara volta, casi di quel genere!

La «Teoria del Gender» ha avuto grande presa in parte dell’opinione pubblica, anche perché propagandata da gruppi agguerriti e perché trova un terreno favorevole nella società del relativismo etico, della «liberazione sessuale», della ricerca del successo e del piacere ad ogni costo. Ho letto che in una scuola materna di Stoccolma «gli alunni non sono più bambini e bambine, ma amici e sono chiamati con un pronome neutro» per non condizionare atteggiamenti futuri. Molti genitori svedesi, inoltre, «non rivelano più il sesso biologico ai propri figli e nemmeno ai parenti stretti, per lasciare ad essi (i figli) la scelta». Che dire?