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Le provvidenziali «incursioni» del Papa in Toscana

Da Prato in poi, a parte la parentesi di Firenze comprensiva dell’incontro con i partecipanti al Convegno ecclesiale nazionale e della visita alla diocesi, Francesco ci ha abituato a rapide, ma provvidenziali «incursioni».

«Pellegrino di passaggio, poca cosa, ma almeno la volontà c’è….», ebbe a dire dal Pulpito di Donatello ai pratesi riuniti in Piazza del Duomo per ascoltarlo. E lui, il Papa, li ripagò con un discorso tra i più significativi in assoluto con le belle immagini delle tende di speranza, dei patti di prossimità e del lavoro degno. Parole pronunciate dopo la preghiera di fronte alla Sacra Cintola.

A Barbiana, a Nomadelfia e a Loppiano ha fatto la stessa cosa: una visita breve e un discorso forte preceduto da una meditazione silenziosa di fronte alle tombe di don Lorenzo e di don Zeno e nel Santuario di Maria Theotokos. Ad unire queste ultime due «incursioni», racchiuse in quattro ore nella mattinata del 10 maggio, oltre al grande tema della famiglia, è la dimostrazione che si può vivere ancora oggi come le prime comunità cristiane. Lo si può fare nello stile di Nomadelfia dove la fraternità è legge e non esiste il denaro o come a Loppiano dove convivono persone di sessantacinque nazionalità e si studia un’economia che non mira al profitto, ma alla creazione di una società più equa senza più indigenti. Tutti impegni configurabili in forme di santità sociale che Francesco ha elogiato esortando i Nomadelfi e i Focolarini ad andare avanti sulla strada tracciata dai loro fondatori.

Il Papa ha parlato di realtà profetiche, di forza innovatrice del Vangelo, di carisma dell’unità, di mistica evangelica del noi, di prossimità («Non si può essere cristiani senza prossimo»), di civiltà dell’alleanza, di fedeltà creativa evocando la «pazzia» degli apostoli, di artigiani del discernimento comunitario e di laicità («Non dimentichiamo che la prima discepola di Gesù, sua madre, era laica). E poi l’importanza della memoria («Quando si chiude la chiave della memoria si comincia a morire»). A tutti ha chiesto e chiede capacità di rischio, franchezza, sincerità, apertura, perseveranza, tenerezza e preghiera coraggiosa («Dire le cose in faccia a Dio»). L’importante è non stare in disparte per seminare quella zizzania che distrugge la Chiesa, la comunità e noi stessi. Chi lo fa è un «terrorista». «Chiedete piuttosto la grazia dell’umorismo, che è – a giudizio di Francesco – l’atteggiamento umano che più si avvicina alla grazia di Dio».