Opinioni & Commenti

Le quattro grazie di un gesto che apre per tutti una crisi positiva

1. Grazia legata a questo gesto è l’averci restituita la piena umanità della figura del successore di Pietro. E il pensiero va agli Atti degli apostoli: «Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio gli andò incontro, si gettò ai suoi piedi e si prostrò. Ma Pietro lo rialzò, dicendo:Alzati: anche io sono un uomo» (At 10,25-26).

Benedetto XVI dicendosi senza mezzi termini uomo diminuito nel corpo e nell’animo, uomo non più capace di amministrare bene il ministero a lui affidato, uomo quindi limitato, dice che il vescovo di Roma non è che una creatura fragile e che, nei rispetti profondissimi, è giunto il tempo di uscire da ogni culto della personalità e di umanizzare la figura ieratica e lontana del pontefice. Uomo tra gli uomini con decisioni umanissime, senza pretese di forze straordinarie.2. Grazia legata a questo gesto è il tragitto seguito per giungervi, un inno al discernimento spirituale alla dignità e libertà del cristiano. Il segno della propria condizione psico-fisica, il segno della complessità del «mondo di oggi» a cui deve essere annunciato il Vangelo e il segno del volto di una Chiesa deturpato da divisioni e da lotte di potere, «dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio», mi hanno convinto, per il bene della Chiesa e del mondo, della seguente decisione: «Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di vescovo di Roma». Un inno alla dignità e alla libertà del cristiano nello Spirito: «Cristo ci ha liberati per la  libertà» (Gal 5,1), «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5,13). Nessun accanimento nei confronti di un servizio ma, nel coraggio, la dignità di un libero personalissimo no  maturato davanti a Dio nel discernimento e nella solitudine orante. Gesto profetico nel ricordare a tutti, persone, comunità e Chiese, il primato della libertà di coscienza e della dignità della decisione maturate in coscienza pura davanti a Dio per il bene degli altri. In questa prospettiva la stessa rinuncia diventa un gesto alto di amore, cosa grande operata da Dio nella fragilità di un uomo, secondo lo stile di Dio (1 Cor 1,26-29; 2 Cor 12,10). Cosa che riguarda tutti.3. Grazia legata a questo gesto è il ricordare che il ministero petrino, come ogni altro servizio nella Chiesa, appartiene all’orizzonte del dono, si svolge nell’ordine del servizio e si comprende come totalmente relativo al Cristo e alla Chiesa. Non un potere tra i poteri ma una lavanda dei piedi nel richiamare alla centralità del Signore e del suo Vangelo. La rinuncia di Benedetto XVI dice bene tutto questo, non sono io la luna ma il dito che la indica. Dito che quando sa giunto il tempo di lasciare il posto a un altro si ritira, non senza aver «chiesto perdono per tutti i miei difetti», prassi che andrebbe estesa a conclusione di ogni mandato ricevuto nella Chiesa e, se credenti, nella società. Un ritirarsi, non possiamo nasconderlo nella ferita. Tale è stata la mano destra della riconciliazione tesa ai seguaci di Lefebvre, di fatto respinta. Tale è stata la non riforma, pur desiderata, di una curia vaticana che dà da pensare: «Riflettiamo su come il volto della Chiesa venga a volte deturpato da divisioni del corpo ecclesiale», un corpo carrierista e mondano nel suo volere «solo apparire» e nel cercare «l’applauso degli altri», e ipocrita nel puntare il dito contro i peccati altrui guardandosi bene dall’«agire sul proprio cuore». Ferita è stata la non facile relazione con la modernità. Un ritirarsi nella ferita dunque e nello stesso tempo nella profezia dichiarando con il suo gesto che è forse giunto il momento di recuperare collegialità, sinodalità e trasparenza al governo del successore di Pietro, unitamente alla piena rivalutazione delle Chiese locali e di una ecclesiologia di comunione. In lui sembra ritirarsi una modalità di esercizio del ministero petrino, aprendo nuovi scenari già previsti nella enciclica «Ut unum sint» di Giovanni Paolo II: «Compito immane che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo». E anche questa è una grazia legata a un gesto.4. Un ritirarsi nel silenzio infine a ricordare l’urgenza di uscire dal chiasso ecclesiastico e mediatico per rientrare come persone, come istituzioni e come Chiesa in se stessi a ridare il nome al permanente da cui tutto deve muovere, il narrare in forma bella, buona, eloquente e mite l’amore appassionato del Padre in Cristo per ogni creatura in una apertura senza esclusioni ritornando, in fedeltà creativa, alle grandi indicazioni del Vaticano II. L’essere nel dialogo e nell’ospitalità amica buona notizia ai fratelli cristiani di altra confessione, all’ebraismo, agli appartenenti al mondo variegato delle religioni e alla modernità. Ricchi della bellezza del Vangelo, finalmente poveri di potere e di rilevanza mondani. Il tempo della crisi che è il nostro patisce anche la crisi legata al gesto di Benedetto XVI, ma con la Singer, in «Del buon uso della crisi», possiamo affermare: «Nel corso della vita ho raggiunto la certezza che le catastrofi servono a evitarci il peggio… Sapete cos’è il peggio? È l’aver trascorso la vita senza naufragi, è essere rimasti alla superficie delle cose… La vita comincia nel punto in cui si frantumano le categorie…L’autunno, spogliando i rami, lascia vedere il cielo».

Benedetto XVI con questo gesto di spoliazione, gesto di alta magisterialità, indica alla Chiesa la via da seguire, la conversione alla scarna essenzialità del Vangelo perché sia data all’uomo la possibilità di vedere il cielo. Benedetto XVI, raccogliendo il desiderio dei semplici, ti siano lievi i giorni nel silenzio, addolciti dalle musiche che ami.