Opinioni & Commenti

Lef, invece di piangere cerchiamo di salvarla

di Franco Cardini

Tutti i fiorentini non proprio analfabeti conoscono la Libreria Editrice Fiorentina, la gloriosa LEF, che nel passato è stata una roccaforte non solo libraria, ma anche – come dice il suo nome – editoriale: gran parte delle forze migliori della cultura cattolica fiorentina è passata di là. LEF vuol dire Papini, Giuliotti, Lisi, La Pira Balducci: non che tutti gli studiosi o gli intellettuali cattolici siano per forza stati editi dai suoi tipi, ma certo essa costituiva un punto d’incontro, una sorta di segno di raccolta.

Ma da qualche tempo la bella, grande libreria di Via Ricasoli, davanti all’Accademia, era in crisi. Non intendo qui ricapitolare le fasi d’una genesi complessa, che ha condotto il titolare Valerio Zani e i suoi figli a vendere i locali storici, dopo averne decurtato parte dello spazio originario destinato alla costruzione di appartamenti. Il fatto era che da tempo la LEF aveva mutato indirizzo: non più libreria generalista, bensì grande impresa specializzata nell’architettura. Una scelta senza dubbio determinata dalla posizione: l’Accademia delle Belle Arti e la sua Galleria con il David michelangiolesco, prospicienti, suggerivano una ridefinizione dell’esercizio che appariva intelligente, opportuna e redditizia.

Ma è difficile, oggi molto più di ieri, indovinare e prevedere il futuro. Una città pur dotata di una potente Facoltà Universitaria di Architettura e di una celebre Accademia artistica nonché di decine di studi d’architetto, alcuni molto famosi, e di una Università Internazionale dell’Arte specializzata in questioni di restauro (quella che ha sede nella Villa del Ventaglio in Via delle Forbici, alla base della collina di Fiesole, e che adesso è diretta da Francesco Gurrieri) si è rivelata incapace, o inadatta, o disinteressata al mantenimento di una libreria specializzata in pubblicazioni d’architettura. Perché? Evidentemente si comprano pochi libri e si legge poco; magari la LEF non è riuscita a crearsi un solido corpo di frequentatori e acquirenti abituali. Chissà che paradossalmente non le abbia nuociuto perfino la sua splendida posizione, insidiata com’è dalla concorrenza delle edicole e dei baracchini che nel tratto di Via Ricasoli tra Piazza San Marco e Via degli Alfani vendono un po’ di tutto ai turisti in coda.

Buffa città, Firenze. Succede di tutto, sotto il naso dei cittadini che non si accorgono mai di nulla e che sembrano in fondo sempre dei nostalgici dei bei tempi del soporifero regime di Canapone e del suo filosofico ministro, l’Eccellenza Baldasseroni (detto dai fiorentini la Baldanza Eccellenzoni), il quale com’è noto soleva ripetere che «il mondo va da sé». In effetti, a lasciarcelo andare, va da sé: il punto è stabilire in quale direzione.

Ogni tanto però la morta gora sobbalza e per un più o meno lungo istante dà i numeri: è l’isteria, rovescio della medaglia della noncuranza. Non si fa nulla, non ci si cura di nulla: ma ogni tanto ci s’indigna, tanto più che indignarsi è gratis.

È successo così anche nell’ultima settimana di marzo. Alla notizia che Valerio Zani e figli vendevano, è successo il finimondo: con tanto di dichiarazioni, qualcuna desolata e qualcun’altra incendiaria, degli intellettuali o dei presunti tali. Il tono di tali querimonie, lo conosciamo: è una vergogna, è un pezzo di Firenze che se ne va, dove andremo a finire, c’è l’analfabetismo in agguato e così via piagnucolando.Con gli intellettuali non ho mai simpatizzato, ma ora davvero non ne posso più: quando si piange sul latte versato, bisognerebbe prima di tutto confessare di essere stati noi a lasciar inacidire il latte rendendolo inutile, o ad aver urtato il bricco. Se in una città chiude una libreria dalle grandi tradizioni, vuol dire che di tradizioni gli intellettuali cittadini si sono sempre fatti un baffo, non curandosene o non riuscendo ad appassionare la gente sulla sua storia e sulla sua presenza. Ho espresso il mio malumore sul «Corriere fiorentino» del 26 marzo rispolverando a modo mio la massima del vecchio Marx: abbiamo contemplato fin troppo il mondo, ora cerchiamo di cambiarlo. Non ci va di perdere il patrimonio costituito dalla LEF? Bene: allora conserviamolo. Cominciamo con il costituire una «cordata azionaria». Non si tratta di regalare nulla a nessuno, sport al quale notoriamente i fiorentini sono allergici quanto e più dei lucchesi. Si tratta di aprire un piccolo discorso di azionariato: io comincio con l’impegnarmi a metterci 1000 euri: e sfido tutti gli intellettuali o sedicenti tali che hanno espresso rabbia o scandalo o desolazione dinanzi alla prospettiva di chiusura della LEF a fare altrettanto.

Naturalmente c’è chi se l’è presa, chi mi ha dato dello sfasciacarrozze e del pirata intellettuale, chi m’ha chiamato donchisciotte (che per me è un onore, stenterelli!…), chi ha obiettato che 1000 euri sono troppi e chi ha sentenziato che sono un ago in un pagliaio. Tutte scuse per non impegnarsi, giacché la mia proposta, pubblicata sul «Corriere», era chiara: non si tratta solo di sostenere una libreria, ma di aiutarla a tornare a vivere: andarci a comprar libri, o anche solo a visitarla, a discuterci, a prenderci il caffè come ormai si fa in tutte le librerie importanti del mondo e anche in qualcuna di Firenze. E ciò riguarda i fiorentini in genere, ma soprattutto i cattolici, che quanto a vita intellettuale hanno davvero poco da buttar via.

Naturalmente, gli Zani non sono interessati al rilancio d’una partita per loro chiusa: ed è nel loro diritto. Ma la LEF da tempo aveva separato la sua facies libraria da quella editoriale, gestita invece da Giannozzo Pucci. A suo dire, la proposta non è proprio così strampalata. Parliamone. La LEF potrebbe riaprire da un’altra parte. Ora non dite che non sapete a chi rivolgersi. Visitate il «sito» di Giannozzo:www.lef.firenze.it. Egli ha l’esperienza adatta a gestire l’organizzazione di un «azionariato diffuso» come base per un rilancio di questo fondamentale pezzo della nobile cultura fiorentina di qualche decennio fa.