Opinioni & Commenti

Legge Gasparri, una firma difficile

di Vincenzo RiniPresidente della federazione taliana Settimanali Cattolici Dunque la legge Gasparri è stata approvata in via definitiva dal Senato. La Camera alta non ha avuto esitazioni, non ha visto franchi tiratori, nonostante le numerose votazioni segrete ammesse dal Presidente Pera: la maggioranza di Governo è rimasta compatta e la minoranza non è riuscita a far introdurre alcuna pur piccola modifica che ritardasse l’approvazione. Se il Presidente della Repubblica Ciampi la firmerà diventerà definitivamente legge dello Stato. Il “se” è d’obbligo, non solo per le varie voci circolate in questi ultimi mesi, ma anche e soprattutto perché Ciampi, nel suo primo e fin’ora unico messaggio alle Camere, del 23 luglio 2002, aveva indicato alcune linee da tenere presenti per la salvaguardia del pluralismo nell’informazione, che la legge approvata non sembra avere tenuto del tutto in considerazione. Ciampi aveva dichiarato solennemente che “non c’è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell’informazione”, facendo chiaramente intendere che il pluralismo non può essere garantito dalla presenza di un polo pubblico e da uno privato: dualismo non è pluralismo; si realizza dando possibilità concreta di esprimersi al maggior numero possibile di voci e di volti. Senza pluralismo, sottolineava Ciampi, non è possibile la “formazione di una opinione pubblica critica e consapevole in grado di esercitare responsabilmente i diritti di cittadinanza democratica”. Insomma, per Ciampi pluralismo fa rima con democrazia e con libertà di opinione.La legge Gasparri è in grado di dare garanzie sulla sintonia dei suoi contenuti con il messaggio di Ciampi? Sono in molti ad avere dei dubbi. Non ultimo il quotidiano cattolico Avvenire che domenica scorsa, in un editoriale parlava del rischio “che la legge risulti in alcuni passaggi tale da non consentire la firma del capo dello Stato nell’esercizio dei suoi altissimi doveri di verifica e garanzia” e lanciava un appello per “non finire incagliati”. Allora vale la pena domandarsi: e se accadesse che Ciampi non firmasse la legge e la rimandasse al Parlamento? Il problema, a questo punto, non sarebbe più semplicemente politico, ma istituzionale: presidente della Repubblica e Parlamento (e Governo) su posizioni diverse e speculari. Non sarebbe una cosa di buon effetto. Si tornerebbe da capo: il Parlamento dovrebbe riesaminare la legge e vedere se introdurre o meno le modifiche indicate dal capo dello Stato. E se non le introducesse? Davvero la Repubblica vivrebbe momenti difficili.

Ma cos’è che nella Legge Gasparri fa problema? Ecco, questa è una legge “di sistema”, che riguarda principalmente il sistema radiotelevisivo ma, dando vita al S.I.C. “Sistema integrato delle comunicazioni”, riguarda poi tutto il mondo dell’informazione e della comunicazione. Certamente, il progettare la rivoluzione tecnologica del “digitale terrestre” fa pensare a moltissime possibilità di comunicazioni televisive, di reti di trasmissioni, con grande moltiplicazione di programmi e canali. Ma il problema è di sapere chi sarà padrone di queste reti e di questi canali. La legge non pare andare al di là di un rigido duopolio televisivo: Rai e Mediaset saranno più che mai sovrane; la tv pubblica sarà più di prima in mano alla politica, facendo prevedere più decise lottizzazioni; senza dimenticare che le risorse pubblicitarie, che già oggi privilegiano la via televisiva a scapito della carta stampata, saranno ancora più di prima orientate alla tv. In questo modo i grandi imperi massmediatici cresceranno: potranno aumentare di numero le reti televisive, ma non si moltiplicheranno le proprietà di queste reti; più reti, ma degli stessi padroni. È questo il pluralismo? Pare proprio di no.

Oltretutto a seguito di questa legge sarà permesso quello che fino ad ora non era possibile, cioè la proprietà, nelle stesse mani, di televisioni e giornali: anche questo non andrà a favore del pluralismo. Inoltre, questo arricchimento dei monopoli darà la possibilità ai grandi giornali (ai loro proprietari) di moltiplicare la loro presenza nei singoli territori con edizioni locali: potrà essere un’invasione bella e buona: tanti giornali e pochi padroni.E i giornali piccoli, come la stampa settimanale cattolica, avranno vita più dura, con, probabilmente, ancor meno risorse pubblicitarie. Tornano alla mente le parole del card. Ruini e del Consiglio permanente della Cei che avevano chiesto “effettive garanzie… per l’incremento del pluralismo”. Resta, a difesa l’art. 21 della Costituzione ma questo è nudo se non viene rivestito e difeso da leggi appropriate.

Ora restiamo in attesa delle decisioni del presidente della Repubblica, con non piccola trepidazione: una sua firma della legge confermerebbe le difficoltà fin qui prospettate. Una sua mancata firma, con il conseguente rimando al Parlamento, potrebbe innescare una crisi di rapporti istituzionali di forte impatto sulla vita del Paese. La situazione non è facile.

SCHEDA: Le principali novità Con 155 si, 128 no e nessun astenuto, il Senato ha approvato, il 2 dicembre, in via definitiva, il ddl Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo, che modifica le normative precedenti, la Mammì del 1990 e la legge Maccanico del 1997 (rese incomplete dalla mancata approvazione del Ddl 1138 nella scorsa legislatura). Nuovi tetti antitrust e per la pubblicità, ridefinizione del sistema delle comunicazioni, apertura al digitale, nuovi criteri di nomina del cda della Rai e avvio del processo di privatizzazione della tv di Stato: sono i punti principali della riforma di cui presentiamo una sintesi. Tetti antitrust e pubblicitàL’articolo 15 stabilisce che nessuno può conseguire ricavi superiori al 20% delle risorse del S.I.C. (Sistema integrato delle comunicazioni). Il paniere del S.I.C. contiene, tra l’altro, i ricavi da canone, da pubblicità nazionale e locale, da sponsorizzazioni, da televendite e telepromozioni, dagli investimenti di enti e imprese da provvidenze pubbliche, da convenzioni con soggetti pubblici, da offerte televisive a pagamento, da vendite di beni, servizi e abbonamenti. Chi possiede più di una rete televisiva non potrà acquisire partecipazioni in quotidiani o costituire nuove imprese fino al 31 dicembre 2008. Quanto agli affollamenti pubblicitari, solo gli spot sono soggetti ai limiti orari (18% per le tv commerciali), mentre le altre forme di pubblicità, comprese le telepromozioni, sono soggette solo ai limiti quotidiani (15% per gli spot, elevabile al 20% in caso di telepromozioni e televendite, massimo per un’ora e 12 minuti al giorno). Nomina vertici RaiSecondo l’articolo 20 la tv pubblica avrà un Cda di 9 membri, in carica per tre anni e rieleggibili una sola volta. Fino alla prima fase della privatizzazione, cioè fino all’alienazione del 10% del capitale, sarà la Commissione di vigilanza a nominare sette membri del Cda, mentre gli altri due, tra cui il presidente, saranno invece scelti dal ministero dell’Economia. Per il presidente è necessario il parere favorevole dei due terzi della Vigilanza. Digitale. L’articolo 25 riguarda l’agevolazione della conversione alla trasmissione in digitale. A precise condizioni, viene consentita la proroga delle concessioni analogiche (compresa Retequattro) fino al 2006. Tv localiOgni operatore può avere fino a tre concessioni o autorizzazioni in ogni bacino regionale, e fino a sei per regioni anche non limitrofe. Tutela minoriL’articolo 10 – emendato alla Camera con la norma anti-minori di 14 anni negli spot e nei messaggi pubblicitari – dà forza di legge al codice di autoregolamentazione tv-minori e prevede “adeguata pubblicità” per le sanzioni inflitte in caso di violazione sia dall’Autorità sia dal Comitato di applicazione del codice.