Opinioni & Commenti

Legge elettorale, non piace più a nessuno ma è difficile cambiarla

di Emanuele Rossi

La vicenda della legge elettorale nazionale è emblematica delle difficoltà istituzionali della nostra classe politica, ed insieme delle complessità di trovare vie d’uscita al di fuori di essa.

Come ormai è evidente a tutti, nessuno sostiene più la bontà della legge elettorale vigente: sebbene con taluni distinguo, tuttavia anche i partiti che pure l’avevano votata si sono convinti che essa non può funzionare. Sia perché non assicura quella governabilità sul cui altare sacrifica troppo in termini di rappresentanza (si ricordi che con una percentuale anche di molto inferiore al 50% dei voti può ottenersi il 55% dei seggi), sia perché introduce un meccanismo di «cooptazione» più che di elezione della classe parlamentare. Ma se tutti concordano sull’esigenza di superare il sistema in vigore, al contempo i partiti si guardano bene dal ricercare una soluzione diversa e soddisfacente, presi come sono dalla preoccupazione di non perdere posizioni e di muovere un passo che possa giovare all’avversario. La conseguenza è, quindi, la paralisi: che potrebbe portarci diritti a votare ancora una volta con questa pessima legge.

In questo scenario, si tenta ancora una volta la strada del referendum, come già avvenuto in passato: che è l’unica che i cittadini hanno a disposizione, ma che al contempo è una strada che poco si presta allo scopo. Sia perché, in generale, non è con un sì o con no che si riesce a scegliere il sistema elettorale migliore (come tante altre cose della vita, in verità); sia perché, nel particolare del referendum ora proposto, vi sono consistenti dubbi sia in ordine alla sua ammissibilità che in merito alla bontà dell’esito auspicato (che sarebbe il ritorno al «Mattarellum»). Ed infatti i promotori di esso hanno chiarito il loro vero intento: spingere il Parlamento a trovare un’intesa per un sistema migliore e capace di far funzionare meglio le nostre istituzioni. Il referendum, in questo senso, è una specie di minaccia: spetta alla classe politica cogliere il messaggio e intervenire, al di là di quello che stabilirà la Corte costituzionale.

Vivendo in Toscana, non dobbiamo poi dimenticare che la nostra legge elettorale regionale è simile a quella nazionale, ed anzi essa fu richiamata come «modello» dal legislatore nazionale. Al riguardo occorre tenere presente le differenze tra i sistemi: il Parlamento non è infatti il Consiglio regionale, ed anche la forma di governo regionale è diversa da quella nazionale, dato che nelle regioni è prevista l’elezione diretta del Presidente della Giunta, mentre – come noto – a livello nazionale il Presidente del consiglio è nominato dal Presidente della Repubblica e votato dal Parlamento.

Pur nel contesto di tali differenze, tuttavia, alcuni dei difetti riscontrati nella legge nazionale si ritrovano anche in quella regionale: si pensi ad esempio alle liste «bloccate» ed alla conseguente eliminazione delle preferenze. Ed allora sarebbe auspicabile che anche la Toscana si decidesse a eliminare quei limiti, resi evidenti dalla sua concreta applicazione (penso ad esempio al mancato funzionamento del sistema delle primarie): ciò sarebbe un messaggio di coerenza per alcuni ed eviterebbe falsi alibi per altri.