Opinioni & Commenti

Libia, parlano solo le armi

di Romanello Cantini

Cominciare una guerra, diceva Machiavelli, è facile, ma il difficile è sapere come farla finire. Le operazioni militari in Libia durano orma da venti giorni ed ancora non si intravede concretamente né un termine né uno sbocco di una iniziativa che cambia continuamente aspetto e obiettivi. Dopo la creazione della no-fly zone i ribelli hanno riconquistato un centinaio di chilometri e poi sono stati di nuovo ricacciati indietro. Gheddafi sembra ancora deciso a vendere cara la pelle e non si capisce bene quale sia il rapporto di forza fra i contendenti in uno scontro in cui il colonnello sembra avere contro di sè la popolazione e dalla sua parte le tribù del paese. La comunità internazionale, con in testa la Francia e l’Inghilterra, è voluta intervenire in Libia con l’aviazione e ne ha allargato progressivamente il raggio di azione. All’inizio gli aerei occidentali dovevano abbattere solo gli aerei libici che si alzavano in volo. Poi, di fronte a un cielo deserto, si è passati a bombardare le installazioni militari a terra e infine i carri armati, i cannoni, le milizie lealiste nel corso dei combattimenti.

Si è voluto puntare tutto sulla guerra e sulla guerra aerea scartando ogni altra soluzione con più uomini e meno fuoco. Per esempio l’ultimo intervento importante dell’Onu – quello nella guerra in Libano cinque anni fa – è stato realizzato con una forza di interposizione e grosso modo la separazione dei contendenti ha funzionato. In Libia invece si è invocata la protezione del cielo (con la c minuscola) sui civili. Poi ci siamo accorti che questi «civili» non erano poi tanto tali dal punto di vista militare. Imbracciavano kalasnikov e non dovevano mancare loro le munizioni visto che sparavano anche in aria. Ora sono gli stessi ribelli che ammettono di aver ricevuto armi dall’esterno.

Per esempio dal Qatar, un altro paese arabo in cui di democrazia ce ne è poca, ma di petrodollari per regalare armi ce ne è anche troppi. Nel frattempo nessuno si immagina nemmeno di intervenire in Siria dove il presidente Assad fa sparare su civili veri a mani nude. Tuttavia ora ci si accorge che nemmeno l’uso largo della aviazione Nato è forse capace di far cadere Gheddafi. E allora si avanza l’ipotesi, ventilata anche dal ministro degli esteri italiano, di fornire armi ai ribelli con un ulteriore salto nell’impegno bellico. In questo caso staremo in Libia a proteggere la contraddizione di civili armati di cannoni. La proposta è stupefacente. Mentre l’Onu ha decretato l’embargo delle armi verso la Libia e ben sedici navi, fra cui le italiane, pattugliano la costa libica con il compito di impedire di gettare altre armi nella mischia, qualcuno pensa di trasformarsi in mercante generoso di missili e mortai addirittura con la patente e la sponsorizzazione dell’Onu.

Non c’è in tutta la storia dell’Onu, nata per difendere la pace, nessuna operazione e nemmeno nessuna ipotesi di portare armi in una guerra. Anzi negli ultimi dieci anni è stata condotta all’Onu una lunga battaglia sostenuta da organizzazioni non governative, da Nobel della pace come Desmond Tutu e Lec Walesa, perché fosse impedito il trasferimento delle armi leggere nelle varie parti del mondo considerate la prima causa della perpetuità e della sanguinosità delle guerre civili e il primo dicembre 2006 153 paesi hanno votato all’assemblea dell’Onu a favore di un trattato contro questo rifornimento per i massacri in corso.

Nel frattempo l’obiettivo ormai dichiarato della guerra è diventato l’abbattimento di Gheddafi ad ogni costo come se questo bastasse a dipingere di rosa il deserto. Ci si è dimenticati che dieci anni fa in Afghanistan fu fatta un’operazione come quella che ora si vorrebbe ripetere in Libia. Il regime dei Talebani fu spazzato via in pochi giorni dalla guerriglia delle popolazioni del luogo sotto l’ombrello della aviazione occidentale. Ma in Afganistan si sta ancora cercando di ricostruire uno stato con un prezzo enorme. Lo stesso si potrebbe dire dello scenario iracheno dove, dopo che il regime di Saddam cadde nel 2003 in una settimana, non sono bastati ancora sette anni a riportare nel paese la pace.

In Libia tutto si vuole affidare ormai alle armi e nulla alla diplomazia e al negoziato. Gheddafi è un dittatore che la comunità internazionale ha tollerato anche quando faceva saltare in aria gli aerei e maneggiava l’uranio dell’atomica. Oggi anche a sinistra si sostiene che Gheddafi è ancora al potere solo perché non è stato fatto fuori prima e la sua eliminazione non è in bilico, ma solo in ritardo. Ma in questa logica l’eroe precursore di questa lotta fin dal primo giorno, il primo profeta della liberazione del popolo libico è proprio lui: il vecchio Reagan, che in una notte sempre d’aprile di 25 anni fa bombardò l’abitazione di Gheddafi mancando il colonnello, ma uccidendo la sua figlia adottiva.

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