Opinioni & Commenti

Malati di mente, gli ultimi della sanità e non solo

di Marco LapiOgni tanto fanno parlare di loro. Solitamente quando accade uno dei ricorrenti «drammi della follia». Ma se non fosse per questo si tenderebbe a cancellarli dalla nostra attenzione, perché sono i più «diversi» di tutti e neppure «politicamente corretti». Se non provocano addirittura paura, mettono perlomeno a disagio. Come la morte, in un certo senso: meno se ne parla, più la si esorcizza e la si «rimuove», meglio è.

Eppure, anche oggi, i «matti» sono tra noi, come e più di prima. Le statistiche dicono che il disagio mentale è in aumento, anche tra i giovani. Talvolta i confini tra normalità e patologia o tra nevrosi e psicosi sono labili e sfumati, altre volte i disturbi emergono in maniera eclatante. Fenomeni spesso genericamente e frettolosamente etichettati come «depressivi», ma in realtà caratterizzati da mille sfaccettature, coinvolgono un numero sempre maggiore di individui e, indirettamente, le loro famiglie, che rischiano di ritrovarsi prive di aiuto concreto. Anche da parte di un volontariato in questo campo senza dubbio carente, se non addirittura latitante. Pertanto è davvero da apprezzare l’iniziativa della Chiesa fiorentina che proprio ai malati di mente ha voluto dedicare in particolare la Giornata del malato dell’11 febbraio. Perché, come ha affermato il direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale della salute, padre Renato Ghilardi, sono loro gli «ultimi» della sanità e «per la loro tutela non bastano le leggi e l’affermazione dei diritti». Soprattutto quando le leggi sono plasmate prevalentemente sull’ideologia, come nel caso della 180 del 1978. Che, con i manicomi, ha forse inteso cancellare anche le psicopatologie croniche, come se questo fosse possibile, riconsegnando di fatto il destino di tanti malati di mente nelle loro stesse mani. La «legge Basaglia», dal nome del suo ispiratore, prevede infatti la possibilità di intervenire in regime di trattamento sanitario obbligatorio nelle fasi acute, ma rimanda di fatto tutto il resto alla volontà del malato di curarsi, che in tanti casi, ovviamente, manca. E allora, come spesso si è detto, il manicomio si ricrea in famiglia.

Non si tratta, beninteso, di riaprire luoghi di segregazione che talvolta somigliavano a veri e propri lager, quanto di riconsiderare il problema dell’obbligo della cura come obbligo di reale tutela del malato stesso in primo luogo, forse anche attraverso la previsione di luoghi e tempi di degenza adeguati nei casi in cui siano necessari ma anzitutto dando fin da ora al problema delle malattie mentali gli spazi, le risorse umane e quindi gli investimenti che richiede. Chissà cosa avrebbe detto Franco Basaglia di fronte a reparti inadeguati e spesso sovraffollati come quelli che oggi servono buona parte del capoluogo toscano. Se la sua utopia è rimasta tale, forse non lo si deve solo all’ideologia che ne era alla base. Chi di dovere, infatti, deve aver certamente pensato che in fondo i malati di mente sono ultimi anche nel portare voti.