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Nucleare, il test della Corea: il vero incubo

di Marco OlivettiIl test nucleare compiuto dal regime nord-coreano ha riportato drasticamente l’attenzione del mondo sulla penisola coreana oltre mezzo secolo dopo il drammatico conflitto (1950-53) che ne fece uno dei luoghi topici della “guerra fredda” fra capitalismo liberal-democratico e autocrazie comuniste. Ma, al tempo stesso, ci ha ricordato che viviamo ben oltre il mondo bipolare del secondo dopoguerra e che anche la minaccia suprema – quella dell’uso dell’arma atomica – non è consegnata alle sole superpotenze, ma diffusa fin presso piccoli dittatori di provincia.

A prima vista, il regime nord-coreano di Kim-Jong-Il è una mera sopravvivenza del passato, che si rifiuta di soccombere all’ineluttabile destino che in tutto il mondo ha spazzato via (in Europa e in Africa) o trasformato radicalmente (in Asia) i regimi comunisti. Marginale politicamente, geograficamente, socialmente ed economicamente, la Corea del Nord sembrava consegnata allo stesso destino della Germania Est: l’assorbimento pacifico, presto o tardi, da parte del ben più stabile e moderno Stato sud-coreano. Quest’ultimo, retto per alcuni decenni (1948-1980) da regimi autoritari filo-americani, che hanno ritardato la democratizzazione politica favorendo però una fortissima crescita economica, è diventato già negli anni ottanta una democrazia liberale, sia pure con quel di più di autoritarismo rispetto ai modelli europei e nord-americani che caratterizza gli Stati asiatici. Attraverso le due grandi passerelle mediatiche del 1988 (Olimpiadi di Seul) e del 2002 (mondiali di calcio nippo-coreani) anche il grande pubblico ha ormai assimilato l’immagine di una Corea del sud democratica. E proprio in questi giorni stava arrivando l’ultima conferma da parte della comunità internazionale: la designazione del ministro degli Esteri del governo di Seul, Ban-Ki-Moon, come successore di Kofi Annan alla guida dell’Onu. Un esito improbabile per un regime cui a lungo era stato negato il riconoscimento internazionale da parte di quasi metà del mondo (l’allora blocco comunista), realizzatosi, oltretutto, con il consenso della stessa Cina.

L’esperimento nucleare nord-coreano sembra risvegliare i vecchi incubi della penisola coreana e riportare indietro la storia, proprio mentre, dall’altro lato del Mar del Giappone, si insedia al potere un primo ministro favorevole a una politica estera giapponese meno pacifista e più assertiva. Ma nel 2006 Kim-Jong-Il sembra il guardiano di un bidone di benzina vuoto. La nuova via della lotta per la supremazia a livello globale passa per il commercio e la stessa Cina – nuovo grande protagonista del mondo globalizzato – ha nella crescita economica la sua arma principale per condizionare gli equilibri internazionali. Il suo (ex?) alleato nord-coreano sembra ormai più un impaccio, quasi un fastidioso pitbull , sfuggito al guinzaglio del padrone.

Tuttavia, la vicenda nord-coreana non è affatto un dato meramente folkloristico. Essa ci ricorda drammaticamente il vero incubo per la sicurezza del pianeta nel XXI secolo: la diffusione – quasi la parcellizzazione – del controllo dell’arma atomica, sia pure in versioni rozze e tecnologicamente non competitive con gli arsenali delle superpotenze. Le armi di distruzioni di massa, sul cui presunto possesso da parte di Saddam Hussein i capi dei governi inglese e americano hanno giustificato nel 2003 l’invasione dell’Iraq, sono preda facile anche di Stati a economia depressa e con una popolazione sull’orlo della fame. Lo ha dimostrato nel 2000 il Pakistan, lo conferma oggi la Corea del Nord, potrebbe ulteriormente dimostrarlo domani un Paese ben più rilevante del tremolante regime nord-coreano, l’Iran degli ayatollah, ormai candidato – anche senza atomica – al ruolo di superpotenza medio-orientale.

Di per sé la sola diffusione dell’arma atomica è, ovviamente, una pessima notizia. Anche quando sono regimi democratici come Israele e l’India ad aggiungersi alle più antiche potenze nucleari (Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito, Cina) non v’è certo da rallegrarsi. Tuttavia, l’acquisizione di tali armi da parte di regimi totalitari, anzi da parte di veri e propri “rough States” (i cosiddetti Stati canaglia) induce a temere maggiormente che il futuro non riservi soltanto ulteriori forme di proliferazione degli arsenali militari, ma anche qualche possibilità del loro effettivo utilizzo. Inoltre, la diffusione della tecnologia nucleare solleva l’ulteriore – e ancor più agghiacciante – sospetto che essa possa essere ceduta clandestinamente a soggetti non aventi natura statale, come le organizzazioni terroristiche, per consentire loro di utilizzarla per propri scopi.

Ciò che più sorprende è che il mondo sembra impotente davanti a questi eventi. La stessa possibilità del ricorso alla forza contro il regime coreano, oltre ad apparire irrealistica – anche per l’opposizione della Cina e della Corea del Nord – sembra un’arma spuntata. Anzi, c’è da chiedersi persino se l’invasione dell’Iraq nel 2003 non abbia incentivato il regime di Pyongyang ad accelerare il cammino verso la bomba, per tutelarsi dall’ipotesi di regime change, sul modello irakeno. A maggior ragione, c’è da auspicare prudenza, anche se non sottovalutazione dell’allarme. La diffusione dell’arma atomica resta la più grande minaccia per il futuro dell’umanità: più grande di Bin Laden e del riscaldamento globale.