Opinioni & Commenti

Nuovi protagonisti per forzare la pace tra Israele e Palestina

di Romanello Cantini

Ci sono pochi dubbi sul fatto che la richiesta del leader Abu Mazen per l’ammissione della Palestina all’Onu come stato sarà approvata dall’Assemblea Generale del Palazzo di Vetro. Negli anni passati ben 126 stati dei 193 che oggi compongono l’Assemblea hanno già riconosciuto lo stato palestinese. Ma con il voto dell’Assemblea la Palestina può diventare solo stato osservatore, ma non stato membro dell’Onu a pieno titolo. Perché questo risultato sia raggiunto ci vogliono nove voti favorevoli sui quindici che compongono il Consiglio di sicurezza. Attualmente al Consiglio di Sicurezza voterebbero a favore della richiesta palestinese la Russia , la Cina, il Libano, il Brasile, l’India, il Gabon, la Nigeria e l’Africa del Sud. La Bosnia voterebbe contro come gli Stati Uniti. E poiché i quattro paesi europei (Inghilterra, Francia , Germania  e Portogallo) con tutta probabilità si asterrebbero il nono voto decisivo nel sì e nel no sarebbe alla fine nelle mani della Colombia strattonata da una parte e dell’altra. In ogni caso, anche qualora la richiesta di Abu Mazen raggiunga la maggioranza, gli Stati Uniti hanno già annunciato il loro veto che baserebbe da solo a bloccarla.

Da parte israeliana e americana si insiste ora sul fatto che la pace fra israeliani e palestinesi può avvenire solo con negoziati diretti. Ma dopo diciotto anni dagli accordi di Oslo che diedero il via agli incontri fra le due parti non è stato fatto nessun progresso verso la pace. Anzi da allora gli insediamenti israeliani a Gerusalemme e nei territori occupati sono più che raddoppiati con l’invasione di mezzo milione di coloni israeliani che mordono ogni anno che passa un pezzo di quella che dovrebbe essere la sempre più futuribile «patria palestinese». Agli arabi che secondo la spartizione della paese fatta dall’Onu nel 1948 doveva andare il 64 per cento della Palestina rimane ora solo il 12 per cento libero ancora dalla inondazione progressiva degli insediamenti israeliani durante quaranta anni. Gli ultimi mesi hanno inoltre dimostrato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che da parte americana è difficile fare pressione su Israele, anche qualora lo si voglia. Il presidente Obama che nel settembre del 1910 aveva dato un anno di tempo ad Israele per fare la pace, ha dovuto fare marcia indietro quando si è accordo che le sue sconfitte elettorali erano dovute anche al voto ebraico che pesa molto e che ha contribuito, ad esempio, a sconfiggere il 13 settembre scorso il candidato democratico in un feudo tradizionale del partito di Obama a New York.

Di fronte ai pronostici sempre più sfavorevoli per la sua rielezione nell’anno prossimo Obama prima ha rinunciato ad imporre ad Israele il blocco degli insediamenti nei territori occupati  e poi ha  promesso il veto all’Onu sulla richiesta palestinese. Come ha detto Sarkozy di fronte all’evidenza di questi fatti nel suo discorso all’Onu, «bisogna smettere di credere che un solo paese, sia pure il più grande, possa risolvere un tale problema». L’affondamento della richiesta di Abu Mazen tramite il siluro del veto americano sarà comunque una vittoria desolata sia per gli Stati Uniti sia per Israele. Obama perderà in un giorno solo tutto quel credito che si era acquistato nel mondo arabo con il suo grande discorso di apertura tenuto al Cairo nel giugno di due anni fa e poi con l’appoggio seppure discreto alla cosiddetta «Primavera araba». Israele si troverà politicamente così isolato come forse mai lo è stato nella sua storia. A parte la possibile ripresa della violenza nei territori occupati, dopo anni di pausa del terrorismo e mentre fioriscono dal basso iniziative di pace non violente fra arabi e israeliani di cui purtroppo poco si parla, sul piano internazionale Israele si dovrà scontrare con la crescente ostilità della Turchia passata da tradizionale alleata a paladina dell’intero mondo arabo, con i neoregimi del Nordafrica sempre più freddi i verso Israele a cominciare da quell’Egitto dove crescono le voci che chiedono la revisione del trattato di pace di trentadue anni fa e dove l’assalto all’ambasciata israeliana dell’inizio del mese scorso la dice lunga sui sentimenti della folla che ora conta, per non parlare della diffidenza crescente delle nuove potenze del cosiddetto Terzo Mondo di una volta.

Se israeliani e palestinesi sono incapaci di fare la pace da soli, se anche l’America non ci riesce anche ammesso che lo voglia, se anche il ricorso all’Onu si risolverà ancora una volta come in un semplice successo di immagine per i palestinesi senza risultati concreti, bisogna pensare a nuovi attori che dall’esterno riescano a forzare una pace che non sembra ormai più capace di venire alla luce con i soli sforzi di chi dovrebbe partorirla. L’Europa potrebbe, se lo volesse, non essere l’ultima di queste ostetriche pietose di una pace attesa ormai da seicento mesi.