Opinioni & Commenti

Politici, più che gli stipendi dovrebbero aumentare la carica morale

di Emanuele Rossi

Nel mentre si allarga il dibattito sulla necessità di un contenimento della spesa pubblica e, in essa, dei «costi della politica», è di questi giorni la notizia delle conseguenze dell’annuale adeguamento automatico delle indennità dei parlamentari agli scatti di stipendio dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione, con connesso aumento dell’indennità dei consiglieri regionali (per una cifra calcolata sui 320 euro al mese).

La notizia pone alcuni interrogativi, che rischiano di muoversi in quella sottile linea di confine che separa una critica qualunquista da una valutazione in termini di moralità pubblica. È perciò opportuno chiarire.

Nessuno, credo, intende mettere in dubbio il principio che chi fa politica e svolge funzioni rappresentative debba essere posto in grado di farlo adeguatamente, anche dal punto di vista economico: e ciò sia per non limitare l’appartenenza alla classe politica a chi abbia le risorse personali per farlo (e magari per potersi permettere di lasciare il proprio lavoro per alcuni anni), sia per mettere i nostri rappresentanti al riparo da pressioni esterne di alcuni non disinteressati «finanziatori». Il superamento del principio elitario proprio dello Stato liberale è uno dei fondamenti del costituzionalismo moderno e su di esso non è possibile (né opportuno) tornare indietro.

Il problema, però, è un altro: a fronte delle difficoltà degli attuali bilanci pubblici, che impongono a tutti (chi più, chi meno) alcuni sacrifici (non foss’altro sul versante della pressione fiscale), il compito della classe politica dovrebbe essere quello di dare un esempio, che probabilmente cambierebbe assai poco (o nulla) sul versante della sostanza (l’incidenza dell’aumento dell’indennità dei parlamentari sul bilancio dello Stato è ovviamente un’inezia), ma avrebbe un valore simbolico ed esemplare indiscutibile. A chi fa politica è richiesto un «di più» di moralità, proprio per la funzione rappresentativa esercitata: e non mi sembra proprio che, in questo momento, un aumento dello stipendio sia coerente con tale esigenza.

Ma vi è un altro fattore che occorre sottolineare. Secondo la Costituzione, l’indennità dei membri del Parlamento è stabilita con legge: ciò significa, in concreto, con una decisione rimessa a loro stessi. Anche in questo caso la ragione è nobile: attribuire ad altri la determinazione dello stipendio del parlamentare potrebbe consentire a questi di limitare la libertà e l’autonomia degli onorevoli. E tuttavia anche tale previsione richiederebbe quel di più di moralità sopra indicata, ad evitare che la politica sia considerata come un buon investimento personale piuttosto che un buon servizio da rendere al Paese.

Se dunque è forte, in questi ultimi tempi, il rischio di un qualunquismo che non fa distinzioni e non valuta con serenità ed oggettività le cose, ad esso deve rispondersi con una più forte carica morale da parte di chi ricopre incarichi istituzionali: e se a nessuno può essere chiesto di vivere un impegno forte ed assorbente come quello della politica soltanto «per la gloria», allo stesso tempo occorre fare in modo che nessuno possa essere sfiorato dall’idea che lo scopo di chi fa politica sia quello di «far soldi».