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Primo maggio 2018: tre priorità per il lavoro e le urgenze del Paese

Alla vigilia della ricorrenza del primo maggio, l’Italia del lavoro si presenta ancora divisa e sempre più incerta. L’irrisolto divario tra nord e sud, la scarsa diffusione della cultura d’impresa, la distanza tra sistema formativo e mondo del lavoro sono solo alcune delle cause della grave situazione che stiamo vivendo.

Globalizzazione, sfide tecnologiche e frammentazione dei legami sociali hanno radicalmente mutato – anche nel nostro Paese – le condizioni, le modalità e le prospettive del lavoro. Non il suo senso però, il suo rappresentare per l’uomo una possibilità per il suo sviluppo ed elemento stesso della sua dignità.

Sebbene in modo diverso rispetto al passato, e spesso in un clima di generale assuefazione rispetto al contesto socioeconomico dei nostri tempi, la conflittualità insita nel lavoro si traduce in nuovi fenomeni di esclusione che rappresentano la conseguenza di una società sempre più complessa e interconnessa e, nello stesso tempo, più individualistica ed egoistica, in cui tutto si lega e si intreccia in un groviglio di interessi e di particolarismi che, alla fine, genera disuguaglianze crescenti e povertà materiali e spirituali.

Proseguendo la riflessione sul lavoro avviata nel corso delle ultime Settimane sociali dei cattolici di Cagliari, il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata del lavoro ha indicato tre priorità che ci auguriamo possano rappresentare il terreno comune di azione delle forze politiche che saranno chiamate a formare il prossimo governo.

La prima è quella di rimuovere gli ostacoli nei confronti di coloro che il lavoro lo creano. Il lavoro non nasce sotto l’albero, né possiamo pensare che il settore pubblico possa farsene interamente carico come pure è stato per molti anni. Esso stesso è frutto della creatività umana e dello sforzo imprenditoriale di uomini e donne impegnati nell’impresa. Creare un sistema capace di promuovere gli investimenti e di attrarre i capitali e le risorse necessarie per favorire la competitività del sistema imprenditoriale ed accompagnare la transizione all’industria 4.0 è una priorità che non ha colore politico ma che risulta necessaria per dare un futuro alle nostre imprese.

La seconda è quella dell’evoluzione del nostro sistema formativo verso un modello più orientato alle esigenze del mondo produttivo e del lavoro. Occorre puntare su istituzioni formative capaci, nello stesso tempo, di trasferire le competenze necessarie per poter fare al meglio il proprio lavoro e di educare al senso del lavoro, suscitando nei giovani quella passione per il bene comune che è il presupposto necessario comprendere appieno l’insegnamento cristiano sul lavoro. Accanto alla formazione universitaria abbiamo necessità di sviluppare un sistema di formazione universitario-professionale capace di rappresentare per i giovani una valida alternativa all’Università tradizionale e, per le imprese, il bacino principale per la ricerca dei futuri quadri aziendali, dando vita ad un sistema di piena equivalenza e di continuità dei percorsi formativi.

La terza è quella della creazione di una rete di protezione per i soggetti più deboli, uno strumento di reinserimento e di recupero della dignità perduta da coloro che restano fuori dal mondo del lavoro e desiderano reinserirsi.

In questo caso non si tratta di introdurre un’alternativa assistenzialistica al lavoro umano (poiché sarebbe anch’essa lesiva della dignità umana), bensì di prendere atto che la profonda trasformazione richiesta dal nostro sistema economico, da nord a sud, produce dei costi sociali di cui non possiamo non farci carico come comunità.

Un simile intervento – che si chiami reddito di inclusione o reddito di cittadinanza, pensioni sociali o assegni sociali, poco importa – dovrà comunque inquadrarsi in un piano di revisione complessiva della spesa in grado di garantire la tenuta dei conti pubblici e di indirizzare la spesa sociale a supporto di specifici interventi di rilancio o di riconversione di imprese, aree industriali o settori non più competitivi, garantendo effettive possibilità di reinserimento dei lavoratori o di creazione di nuova occupazione.

Di fronte a queste tre priorità per il lavoro, l’urgenza del Paese resta però quella di riscoprire nel lavoro il fondamento del proprio patto sociale. A tal fine occorre riavvicinare il nord al sud e ricostruire nuove reti di protezione sociale capaci di rilanciare una visione di bene comune in grado di far sentire a ciascuno, nello stesso tempo, il peso delle proprie responsabilità verso chi ci è prossimo e la bellezza di spendere la propria esistenza al servizio di un ideale più alto, sia questo la ricerca della santità attraverso il mondo o il bene delle prossime generazioni.