Opinioni & Commenti

Province: un riordino quasi impossibile, almeno a breve

di Ugo De Siervo

La vicenda relativa al ridisegno dei territori delle Province italiane mette bene in evidenza quanto sia più complessa la realtà di quanto si afferma genericamente di voler riformare o anche di quanto si scrive in leggi e decreti.

Un po’ in tutta Italia appare largamente in crisi il procedimento finalizzato a far proporre alle stesse realtà locali e regionali il nuovo disegno della Province e delle Città metropolitane: molti Consigli delle autonomie locali non sono riusciti neppure a trasmettere alle Regioni proposte unitarie o le hanno trasmesse derogando in molteplici punti ai criteri «inderogabili» fissati dal legislatore e dal Governo, e successivamente ribaditi dal Ministro per la pubblica amministrazione. Adesso spetterà alle Regioni (ma già vi sono sintomi assai preoccupanti sull’incapacità o sulla non volontà di vari Consigli regionali) cercare di trasmettere al Governo, entro pochi giorni, le loro proposte di riordino, in modo da permettere la elaborazione di una proposta unitaria per tutto il territorio nazionale (salvo quello delle Regioni ad autonomia speciale, che seguono un diverso procedimento). Comunque, anche in assenza di proposte regionali, il Governo «perfezionerà il riordino delle Province», come appunto ha scritto il Ministro per la pubblica amministrazione.

Qui però sorge un primo ed assai consistente dubbio: il Governo non ha ricevuto una delega legislativa in materia, e quindi non potrà che presentare un apposito disegno di legge o tentare la via rischiosa di un apposito decreto legge. Ma comunque spetterà al Parlamento, o in sede di adozione della legge, o in sede di conversione del decreto legge del Governo, consentire al ridisegno di tutto il sistema degli enti locali di secondo livello; ma ciò significa che sarà davvero difficile, nel clima acceso che si è registrato in tante realtà territoriali e per di più in un periodo sostanzialmente preelettorale, che vari parlamentari consentano con quella che sarà la proposta governativa, ignorando le forti opposizioni esistenti nei loro collegi elettorali.

Ma poi qui emerge un altro notevole difetto della legge che ha disciplinato questa procedura di «riordino»: si sono, infatti, determinate tutta una serie di rigide regole «inviolabili» per l’operazione di ridisegno territoriale (alcune delle quali anche alquanto discutibili), ma queste regole – a ben vedere – vincolano soltanto i soggetti che sono stati chiamati ad elaborare le proposte, mentre il Parlamento potrà anche disattendere queste regole, dal momento che regole fissate dal legislatore ordinario sono da lui derogabili. Facciamo solo due esempi concreti fra i tanti possibili, di cui il primo riferito anche alla Toscana: se davvero fosse indispensabile che la nuova Provincia abbia almeno 2.500 chilometri quadrati di estensione e 350.000 abitanti, e se davvero nessuna attuale Provincia potrebbe aggregarsi ad una città metropolitana, una realtà come quella delle Province di Prato e di Pistoia sarebbe destinata ad unirsi alla Provincia di Lucca (e di conseguenza a quella di Massa Carrara), con evidenti molteplici irragionevolezze. Ma poi in piccole realtà regionali (si pensi, ad es., all’Umbria, ma anche alla Basilicata e al Molise) i criteri quantitativi fissati farebbero nascere una Provincia il cui territorio coinciderebbe con quello regionale, senza che però la legge permetta in casi del genere di attribuire allora alla Regione le funzioni provinciali, con buona pace della ragionevolezza ed anche dei risparmi di spesa.

 

Ma allora, se il legislatore non deve solo fare i conti con gli interessi «di collegio» di tanti parlamentari, ma se deve necessariamente rimetter mano ai criteri eccessivamente rigidi ed astratti che aveva adottato, davvero appare dubbio che si possa giungere sollecitamente a quel riordino che si è promesso.

Province, vincono i campanilismi, «Cal» presenta due cartine

Firenze: da provincia a città metropolitana, un percorso a ostacoli

Province, ipotesi a confronto