Opinioni & Commenti

Quale unità oggi è possibile per i cattolici italiani?

di Domenico Delle Foglie

Né indignati né rassegnati. Semmai moderati e motivati. Men che meno disperati. Naturalmente parliamo dei cattolici italiani, chiamati a fare la propria parte in uno dei frangenti più difficili della storia repubblicana. Il Paese, infatti, arranca. Fa fatica a ritrovare lo slancio per riprendere il cammino dello sviluppo. Appesantito non solo da una congiuntura internazionale oggettivamente drammatica, ma anche da una sua specificità che lo rende più fragile: la «questione morale» denunciata senza sconti dal cardinale Angelo Bagnasco, che ha reso irrespirabile l’aria del Paese. Non è un caso che l’invito del Cardinale a «purificare l’aria» abbia fatto titolo e sia diventato un autentico tormentone.

Evidentemente il Paese aveva bisogno di qualcuno che parlasse con la severità e l’autenticità  necessarie per chiarire che le cose non saranno mai più come prima; che i favolosi Anni Ottanta sono stati irresponsabilmente alimentati con una montagna di debito pubblico; che la seconda Repubblica, nata dalle ceneri di Tangentopoli, non ha guarito il malato, semmai ne ha accentuato i difetti del cattivo padre di famiglia. E se un Paese intero si è illuso di poter vivere all’infinito al di sopra delle proprie possibilità, era assolutamente necessario che qualcuno mettesse la sveglia ricordando che vanno radicalmente cambiati i nostri stili di vita.

Perché questa lunga premessa? Perché i cattolici sono gli uomini e le donne dei momenti difficili, delle imprese disperate, degli appuntamenti con la storia. E questo 2011 è uno di quei momenti.

Fra qualche giorno a Todi (il 17 ottobre), su iniziativa del Forum delle persone e delle Associazioni cristiane nel mondo del lavoro (Cisl, Mcl, Acli, Confartigianato, Confcooperative, Compagnia delle Opere e Coldiretti) si terrà un seminario a porte chiuse al quale parteciperanno un centinaio di cattolici, per la metà provenienti dal mondo associativo e per il resto dal mondo accademico. È la risposta più immediata alla suggestione fornita dallo stesso cardinale Bagnasco, ovvero l’urgenza che nasca in  Italia «un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».

Che si tratti «di una transizione dei cattolici verso il nuovo, all’interno della transizione più generale del Paese e dell’Europa» ne è convinto anche Bagnasco che invita ad assumere la linea culturale del realismo cristiano, secondo «quegli atteggiamenti culturali di innovazione, moderazione e sobrietà che da sempre la connotano». Non dunque una semplice questione metodologica e di stile, ma il presupposto di una capacità di proposta rivolta all’intero popolo italiano, perché è il Paese tutto che ha bisogno di ripartire dai valori, di fare sviluppo senza debito, di sostenere le famiglie, di migliorare il sistema educativo, di costruire un ambiente favorevole alle imprese, di rimettere al centro il lavoro, di dare spazio alla sussidiarietà per costruire il Welfare moderno, di rinnovare le classi dirigenti.

Al popolo va restituita la speranza, fuori dalle angustie del politichese, dalle contrapposizioni artificiose, fuori dal giustizialismo e dal gossip della serratura, dall’assistenzialismo e dall’inefficienza, oltre il bipolarismo del conflitto permanente. Di tutto questo e di tanto altro si parlerà a Todi, ma con una grande domanda di fondo a cui tutti noi dovremmo poter rispondere: è finito per i cattolici italiani il tempo della diaspora? Con un corollario: quale unità oggi è possibile per i cattolici italiani? Ed ancora: non chiediamoci cosa può fare il nostro Paese per noi, quanto noi possiamo fare per le nostre comunità e per il nostro Paese. Qualcuno ricorderà John Kennedy, ma è soltanto realismo cristiano allo stato puro.