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Record di alluvioni: 52 in 112 anni nella fragile Italia

Oggi in Sardegna dovrebbe essere il tempo delle lacrime e delle molte riflessioni. Dopo la fine dei rituali funebri per le vittime del ciclone Cleopatra calerà il silenzio per le colpe ataviche, secolari, dell’uomo complice, se non causa diretta, delle devastazioni che la Natura compie quando scatena le sue forze. La tristezza che pervade l’animo diviene angoscia quando si studiano dati che, a scanso di equivoci, sono di dominio pubblico, conosciuti e diffusi periodicamente: dati che dovrebbero aiutare tutti – popolazioni, amministratori pubblici, addetti al territorio, protezione civile, vigili del fuoco – a esser sempre pronti, ad agire prevendendo, almeno aspettando, una situazione che da oltre cento anni si ripete puntualmente, periodicamente.

In autunno piove e l’autunno è da sempre tempo di alluvioni. Non passa anno che in questo periodo non si celebri un infausto anniversario di qualche disastro causato da straripamenti, frane per smottamenti da pioggia, mareggiate, torrenti che divengono cascate irrefrenabili di acqua, fango, detriti. Oggi osserviamo i fatti di Sardegna, ma, e ne abbiamo avuto testimonianza da affermazioni a più livelli, c’è ancora qualcuno che si chiede come mai in autunno piova? E come mai la pioggia, collegata all’azione dell’uomo, all’incuria, allo sfruttamento, alla devastazione del territorio, possa causare danni, distruzioni, morte?

La Sardegna, come le altre Regioni d’Italia, paga scelte dissennate di generazioni di amministratori pubblici e di speculatori che hanno permesso di cementificare gli alvei dei torrenti e i letti dei fiumi che in caso di piene improvvise si trasformano in autostrade furenti; che hanno concesso la possibilità di edificare nei sistemi delle golene e degli argini naturali dei corsi d’acqua; che hanno impedito il ripascimento dei terreni in via di desertificazione con il progressivo abbandono delle zone agricole in una ipotetica prospettiva di edificabilità; che hanno tollerato il disboscamento dei declivi, facilitandone la franosità e la delavabilità, con l’incuria dei sistemi collinali e di terrazzamento agricoli, veri argini di protezione per paesi, valli e città; che hanno subito la piaga atavica degli incendi, simbolo di ignoranza e di criminalità organizzata, che rendono ogni precipitazione piovosa causa scatenante di fenomeni alluvionali distruttivi.

Altro che anomalie climatiche. Il tempo, quello cronologico, ci racconta (dati del sistema informativo sulle catastrofi idrogeologiche e dell’archivio del corpo nazionale dei vigili del fuoco) che solo nel periodo autunnale, dal 1945 a oggi, la Sardegna ha subito 6 alluvioni devastanti, con morti e danni incalcolabili: nel 1946, nel 1951, nel 1971, nel 2004, nel 2008 e oggi. Ma guardando a tutto il territorio nazionale dal 1900 al 2012 sono state 52 le alluvioni che hanno devastato in autunno specialmente la Calabria, la Sardegna, la Toscana, il Piemonte, la Liguria, il Veneto, la Sicilia, la Campania, l’alveo del Po. Non si può continuare a parlare di sorpresa, di emergenza improvvisa. Manca totalmente la capacità di previsione, di cura del territorio, di difesa. È invece imperante la cultura dello sfruttamento dei territori, laddove, ancora oggi, si ritiene che costruire, disboscare, senza alcun rispetto di vincoli idrogeologici possa creare un’economia esclusivamente legata al mattone. Una logica che esclude invece la gestione proficua del territorio in buona salute, della bellezza della natura, dell’offerta anche turistica non legata alla villetta a schiera o al resort sottoutilizzato.

Molti dei sindaci sardi che oggi piangono disperati, il 6 giugno di quest’anno protestavano sotto il palazzo del Consiglio regionale della Sardegna a Cagliari contro i limiti imposti dai vari piani paesaggistici e di assetto idrogeologico all’edificabilità prossimale ai flussi fluviali e agli argini. Quegli stessi limiti che, rispettati e incentivati, aiuterebbero a salvare interi territori e molte vite umane.