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Referendum, astenersi per salvare il lavoro fatto a favore della vita

di Carlo CasiniSe il risultato dei referendum del 12 giugno ci riportasse al Far West procreatico, il danno sarebbe grave, non solo per la lesione del diritto alla vita e alla famiglia, ma anche perchè verrebbe annullato un percorso di presenza politica nuova, ricco di promesse positive.

La legge 40 è il frutto di un lavoro che ha visto la partecipazione del Parlamento (dove il dibattito ha percorso ben tre legislature), dei vari governi che si sono succeduti (commissioni Santosuosso, Guzzanti, Busnelli dell’ ’85-’94-’95, incaricate di fornire indicazioni legislative), del popolo (petizione per la vita del 1988; proposta di legge popolare del 1995 per il «riconoscimento della soggettività giuridica di ogni essere umano sin dal concepimento»).

Le norme che si vorrebbero abrogare sono, dunque, il frutto di una lunga elaborazione sviluppatasi nel pieno della transizione politica e della dissoluzione democristiana. Esse hanno ottenuto un consenso trasversale, che ha attraversato gli schieramenti partitici. In un momento in cui gli ex democristiani si accapigliavano tra loro, persino nei Tribunali, il tema della vita ha avuto la forza di convincerli a lavorare insieme. È stupefacente che la loro unità abbia coinvolto forze anche «laiche», che forse, una compatta presenza democristiana non avrebbe potuto penetrare. Ed ora esplode l’applauso quando dico che la difficoltà dei referendum può trasformarsi in una opportunità: quella di provare gioia nel lavorare insieme, ristabilendo un’amicizia in nome della vita e della famiglia, pur conservando ciascuno le proprie appartenenze partitiche. E l’unità dei credenti evoca, sia pure germinalmente, un’unità più grande, come è dimostrato, ad esempio, dalla significativa presenza di «laici» nel «Comitato Scienza e Vita» e dall’ottimo servizio svolto dal «Foglio» di Giuliano Ferrara. È innegabile una contraddizione. Da un lato il valore della vita umana ha un significato addirittura fondativo della politica, e ciò rende inaccettabile la neutralità dei governi e delle forze politiche riguardo alle questioni di vita o di morte. Come potrebbe dirsi politicamente credibile un partito che non avesse una sua linea sulla pace e sulle modalità di conservarla?

Dall’altro lato, tutti avvertono la validità di un appello alla coscienza, per superare le barriere partitiche, proprio quando le questioni sono di vita o di morte. Come comporre i due aspetti? In una società ideale non dovrebbero esserci sul valore della vita divisioni tra partiti. Ma il nostro è un mondo in cammino.

La trasversalità dell’appello a difendere con tutti i mezzi legittimi il livello di protezione della vita raggiunto con la legge 40 è, perciò, presagio e speranza di una società migliore dove «la vita non è messa ai voti», perché è riconosciuta da tutti come il fondamento della democrazia. Ma intanto è bene che i partiti che possono farlo si pronuncino come tali, quali forze che riconoscono il diritto alla vita ed è ancora più lodevole che, i singoli rompano i vincoli di partito se esso prende una posizione contro la vita. Sarebbe gravissimo far prevalere le esigenze contingenti legate al giudizio sugli uomini di governo o di opposizione o ai programmi economici o di riforma istituzionale su quelle a carattere permanente relative alla base stessa del nostro vivere insieme.

Ciascuno mantenga le proprie idee sul resto, ma restiamo insieme non solo nel difendere la legge 40, ma anche nell’attuazione di una comune strategia. La scelta di non votare non è una pigrizia o una fuga. Di fatto è un modo nuovo di lavorare insieme per la vita e la famiglia. Non conosciamo l’esito finale della transizione in cui ancora ci troviamo. Siamo però certi che, se insieme – credenti e non credenti – riusciremo a salvare il lavoro già svolto a servizio della vita per tutto l’arco della transizione, qualcosa di positivo in futuro deriverà.

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