Opinioni & Commenti
Ru486, la via del regresso
Il che è un aborto a tutti gli effetti: soppressione di una vita, che ha avuto origine nel momento della fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo. Senza dubbio, si tratta di una pratica meno invasiva e cruenta del raschiamento chirurgico, e perciò meno dolorosa e disagevole per la donna. Ma ciò non modifica la natura e la consistenza etica dell’atto, la sua negatività morale.
L’aborto diventa in questo modo più facile e accessibile, ma è pur sempre un aborto: l’uccisione di una vita piccola, debole e innocente, in uno stadio del decorso vitale per il quale ognuno di noi è passato. “Abominevole delitto” – lo ha detto il Concilio Vaticano II – comunque esso venga praticato.
È per questo che la Ru486 – detta pillola del mese dopo – non può trovare nessuna giustificazione morale. Come non può trovarla la pillola del giorno dopo, la quale – in presenza di una fecondazione già avvenuta – ha un’azione non contraccettiva ma abortiva. Impedisce, infatti, all’embrione di annidarsi in utero, facendolo così morire. Chiamarla contraccezione d’emergenza, “postcoital contraception”, è falso e ingannevole.
La via chimica all’aborto, rappresentata da queste pillole, ne sta provocando l’uso individualistico e privatistico, scivolando verso l’aborto “fai da te”. L’aborto facile concorre alla sua banalizzazione.
Dopo la banalizzazione della sessualità con le pillole contraccettive (e i preservativi), stiamo banalizzando la vita prenatale con le pillole abortive. Di pillola in pillola stiamo svuotando di contenuto valoriale e morale eventi umani fondamentali come la sessualità e la vita, e spogliando così le coscienze di verità e responsabilità morale.
Ciò che conta è il risultato da ottenere nel modo più facile e innocuo e non la verità e il bene in gioco. È l’esito e il segno di quel liberismo e relativismo etico che, nel contrasto tra la libertà e la vita, non (sempre) sceglie la vita, anteponendole la libertà, che prende le forme del desiderio e dell’interesse soggettivo.
La qual cosa viene fatta passare come conquista di civiltà, in una stagione culturale che enfatizza e dilata i diritti, al punto da non misurarli e derivarli più da beni oggettivi ma da desideri soggettivi.