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Scuola, non è solo un problema educativo, a rischio è lo sviluppo del Paese

Nei giorni scorsi sono stati resi pubblici i risultati del rapporto PISA 2018. Il PISA (Programme for International Student Assessment) è un’indagine triennale che valuta in quale misura gli studenti di quindici anni possiedono la formazione necessaria per contribuire allo sviluppo delle proprie comunità. In particolare sono valutate le competenze nella lettura, nella matematica e nelle scienze. Una parte del questionario si occupa poi del loro benessere.

I risultati, per quanto riguarda l’Italia, sono abbastanza sconfortanti. Se si considerano i paesi dell’OCSE (quelli cioè riuniti nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che comprende gli Stati dell’Europa, dell’America del Nord, del Continente australiano, il Cile, la Corea del Sud, il Giappone), i quindicenni italiani sono al di sotto della media per la lettura e per le scienze, mentre sono allineati per la matematica. Rispetto poi alle rilevazioni del 2009, del 2012 e del 2015, le loro prestazioni sono in generale diminuite. Oggi, per quanto riguarda la comprensione di un testo breve e semplice, solo il 77% degli studenti riesce a intendere che cosa dice. Solo il 5% è in grado di capire testi più lunghi e complessi, e ragionare su di essi.

Ciò è davvero preoccupante, non tanto se si vuol mantenere un astratto standard di cultura, quanto, e soprattutto, se si vuole che le giovani generazioni partecipino in maniera consapevole e attiva allo sviluppo del nostro paese. Si tratta di una vera e propria emergenza: un’emergenza culturale ed educativa che va messa sullo stesso piano, e che forse è più grave, di tante altre emergenze locali e globali che dobbiamo affrontare. Infatti, senza essere in grado di comprendere la complessità delle cose, non solo non è possibile uno sviluppo per tutti, ma non si è neppure in grado di affrontare quegli impedimenti che lo ostacolano.

Ma perché ci troviamo in questa situazione? Certo: non serve dare la colpa a questa o a quella istituzione, e sgravarsi così la coscienza. In ogni caso formulare questa domanda può aiutarci nella ricerca di rimedi efficaci.

Forse negli ultimi anni la scuola si è trasformata un po’ troppo in un luogo di educazione alla convivenza, invece che di trasmissione del sapere. E in realtà essa ci è riuscita solo in parte, visto che in Italia il 24% degli studenti, come risulta sempre dal rapporto PISA, ha dichiarato di essere vittima di bullismo. Forse le famiglie non si fidano più di delegare alla scuola l’educazione dei propri figli. Ma in realtà esse evitano di educarli, li difendono sempre e comunque, e si rivolgono, per tenerli buoni, a ciò che veicolano i mezzi di comunicazione. Forse tutti quanti noi abbiamo sottovalutato il fatto che le trasmissioni della tv e le piattaforme in internet non propongono qualcosa di neutro, di neutrale, ma cambiano davvero il nostro modo di pensare. E così, se anche le persone adulte sono indotte a dare per buono ciò che viene loro immediatamente offerto, a reagire con un like e a non ragionare più di tanto, figuriamoci ciò che accade ai più giovani.

Se la diagnosi è corretta, ciò da cui bisogna ripartire, allora, è la collaborazione fra le varie istituzioni che si occupano dell’educazione dei nostri ragazzi: la famiglia e la scuola, anzitutto. Anche qui, come negli altri rapporti sociali, la diffidenza e la contrapposizione hanno preso il sopravvento. Bisogna cambiare rotta. Bisogna farlo urgentemente. È in gioco il futuro del nostro paese.