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Settimana sociale: suonerà davvero la sveglia dei cattolici?

di Giuseppe SavagnoneL’apertura, a Bologna, della 44ª settimana sociale dei cattolici italiani pone alcuni interrogativi a cui non bisogna sottrarsi. Il primo e fondamentale è se siamo davanti a un puro e semplice rituale, di cui si manterrà perenne memoria in Atti che nessuno consulterà mai, oppure a una reale occasione, per i cattolici italiani, di ritrovare in ambito sociale una sintonia e un mordente decisamente smarriti in questi ultimi anni.

A favore della prima ipotesi pesa una certa qual impronta ecclesiastico-clericale che purtroppo continua a caratterizzare l’iniziativa. Non dovrebbero essere i Vescovi a promuoverla e ad organizzarla, ma quei laici stessi a cui il Concilio Vaticano II attribuiva la specificità della presenza nella sfera temporale. Il fatto che così non sia, che il criterio verticistico continui a prevalere e a sostituire una spinta dal basso in larga misura ancora latitante, non depone a favore della vitalità e della creatività dell’assise appena inaugurata.

Certo, si potrà obiettare, e con fondate ragioni, che finché questa vitalità e creatività non ci sono nel laicato, lo sforzo dei pastori non può che essere diretto a suscitarle cominciando ad aprire loro la strada. Resta però da vedere se si tratta di uno stimolo destinato a riaccendere il motore imballato o di un surrogato che finisce per sostituirne l’autonomo funzionamento.

Ci sono però anche valide ragioni a favore della seconda ipotesi, quella secondo cui la settimana sociale di Bologna può costituire un autentico principio di risveglio per un mondo cattolico disperso e intorpidito, dopo la stagione del partito unico e la fine della Dc. La più recente di queste ragioni viene dalle cronache degli ultimi grandi incontri di Rimini e di Loreto, dove associazioni e movimenti, in particolare l’Azione cattolica e Cl, hanno dato chiari segnali di volersi lasciare finalmente alle spalle il vecchio clima permeato di veleni e di reciproche diffidenze. Forse non è ancora il pieno disgelo, ma l’inizio della primavera sì.

Ora, questa primavera da qualche parte deve trovare un punto di coagulo e di confronto sui problemi concreti del Paese e sul ruolo che i cattolici possono svolgere. Dove «concreti» non significa partitici ed elettoralistici, come molti hanno pensato dopo Rimini e Loreto, ma innanzi tutto culturali. È su questo terreno che la nostra società sta conoscendo una crisi paurosa, di cui quella della politica in senso stretto è solo il riflesso. Ed è su questo terreno che il mondo cattolico ha più dimostrato la propria incapacità di costituire un punto di riferimento preciso – anche se non monolitico – per chi volesse pensare in grande e progettare il futuro. I cattolici sono rimasti troppo spesso schiacciati tra una cultura di destra, esposta ai gravi equivoci dell’individualismo e del particolarismo, che la portano a sacrificare le esigenze dei più deboli, e una di sinistra, sempre tentata dallo statalismo in ambito pubblico e proiettata verso un libertarismo estremo e irresponsabile in ambito privato.

Di fronte a questa perversa alternativa, il messaggio sociale cristiano appare immensamente più giovane e più adeguato alle esigenze più profonde delle persone. Ma esso non può svolgere la propria funzione se resta confinato nei documenti e nelle dichiarazioni della gerarchia ecclesiastica e non diventa fermento di una costante rielaborazione da parte dei credenti laici, che dell’orientamento della società hanno la diretta responsabilità.

Da questo punto di vista, incontri come quello di Bologna possono costituire un significativo laboratorio, nella logica del Progetto culturale, per il concreto confronto e per il coagulo di cui si parlava. A patto che non resti, per i laici cristiani, una fugace passerella e contribuisca alla maturazione, in essi, di una nuova consapevolezza della propria missione, oggi più urgente e difficile che mai.

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