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Sicilia, se votano meno della metà non ha vinto nessuno

Mentre i vincitori cantano la loro vittoria e i vinti, in modi diversi, prendono atto della propria sconfitta, il primo dato di questa consultazione siciliana che colpisce l’osservatore è quello dell’affluenza alle urne: 46,76%, meno della metà degli aventi diritto! Non sono andati a votare 2.179.474 elettori sui 4.661.111, un risultato ancora peggiore rispetto alle precedenti regionali di cinque anni fa, quando la percentuale dei votanti fu del 47,41. Questo significa che il nuovo governatore della Sicilia, col suo 40% di voti, rappresenta in realtà meno della metà di meno della metà dei siciliani! Per un confronto veloce col passato, si pensi che nel 1971 l’affluenza alle urne, nell’Isola, era stata dell’81,4% e ancora nel 1991 del 74,4%.

Sono numeri eloquenti, che parlano di una crisi ben più vasta di quella che potrebbe riguardare un singolo schieramento – in questi giorni gli occhi sono puntati sulla sinistra – ; una crisi profonda della fiducia del popolo siciliano nella sua classe politica, al di là della distinzione tra un simbolo e l’altro. Perché, se una persona non va neppure a votare, è segno di una disperazione più radicale di quella espressa da tutti i voti di protesta, è segno che non crede più neppure nella protesta, che restituisce il biglietto della corsa e scende dal treno, lasciandolo al suo destino.

Il guaio è che dalla carrozza in questo caso non si può scendere. Anche se la voglia di farlo è venuta anche a chi poi è andato a votare. È venuta davanti a Musumeci, il vincitore, universalmente riconosciuto come un politico onesto e capace, che però in un dibattito televisivo ha ribattuto – a chi accusava le liste del suo schieramento di ospitare personaggi strettamente collegati a inquisiti e mafiosi – che non poteva rispondere delle liste, perché erano stati i partiti che lo sostenevano a farle, a sua insaputa! Ma allora chi governerà l’Isola, a elezioni vinte?

La voglia di scendere è venuta a molti anche guardando ai 5Stelle, che, avendo costruito la loro fortuna politica sul mito del «politico onesto e competente», hanno subìto un pesante discredito a causa delle smentite che ultimamente – a livello nazionale, ma anche a quello regionale – hanno messo in crisi questa immagine. Per guardare solo alla Sicilia, è stato un succedersi di traumi – dalle firme false alla scoperta che due degli assessori designati erano in realtà impresentabili – che, pur non impedendo ai pentastellati di risultare alla fine, come singolo partito, il più votato, hanno però demotivato tanti elettori e sovvertito le previsioni di pochi mesi fa, secondo cui Cancelleri sarebbe stato il prossimo governatore. Cose che succedono quando manca un vero progetto politico e tutto si riduce a una pretesa di «pulizia» , peraltro tutta da dimostrare nella pratica…

Infine, la voglia di scendere dal treno della politica è venuta davanti allo spettacolo di una sinistra divisa e rissosa, reduce da cinque anni di governo regionale disastrosi e controllata da sempre da un gruppo dirigente inamovibile e compromesso, che di «sinistra» ha solo l’etichetta. Né poteva costituire una svolta il preteso ricorso alla «società civile», rappresentato da un Rettore senza programmi e senza esperienza, che, fra l’altro, ha dimostrato ben poco stile lanciandosi nell’avventura elettorale senza neppure dimettersi (si è solo «autosospeso»…) da una carica che richiede, secondo tradizione, una piena indipendenza da schieramenti partitici.

Insomma, chi è stato a casa aveva le sue ragioni. Ma avere delle ragioni non significa avere ragione. E in realtà, chi non è andato a votare ha avuto torto, perché ha confermato un atteggiamento di disinteresse che è alla radice del male contro cui protesta. Un popolo ha i governanti che si merita. Perciò è dal popolo, da rappresentati, non dai rappresentanti, che bisogna partire se si vuole cambiare sul serio. Rinnovare la politica siciliana – ma forse non solo quella… – nel nome della società civile non significa tirare all’ultimo momento fuori dal cappello, come un prestigiatore, un coniglio/candidato, ma preparare a lungo il terreno con un’opera capillare di formazione alla cittadinanza (cioè alla politica: civitas è la traduzione latina di polis) che prepari la gente alla partecipazione attiva e le consenta alle prossime elezioni di esprimere una o più personalità in cui riconoscere le proprie idee e un proprio progetto di società, seguendole poi da vicino nel corso del loro mandato.

Ma per questo bisogna cominciare fin da ora. La famiglia, la scuola, la Chiesa, devono sentirsi coinvolte in questa operazione educativa di largo respiro e impegnarsi concretamente, ciascuna con i propri strumenti, per realizzarla nei prossimi cinque anni. E forse, alle elezioni che seguiranno, potremmo tornare ad avere una maggioranza di cittadini siciliani che decidono di restare sul treno, perché sono ormai in grado di guidarlo.