Opinioni & Commenti

Solidarietà verso i più deboli, un valore non negoziabile

Qui ci sono esseri umani, persone come noi, uomini, donne, bambini, caricati e ammassati come bestie in spazi angusti, in una promiscuità e in una mancanza di intimità che offendono la loro dignità, in balìa dei nuovi trafficanti di schiavi che li umiliano, li picchiano e, all’occorrenza, li gettano in mare, esseri indifesi esposti a naufragare e ad annegare, oppure, se si salvano, a perdere i loro cari, meno fortunati di loro e scomparsi per sempre fra le onde. Il tutto, per essere poi rimpatriati a forza, dopo aver speso tutti i loro risparmi per questa disperata avventura, nei loro paesi di provenienza, dove ritrovano la miseria, la dittatura, la guerra da cui erano fuggiti. Non sono aggressori, non vogliono farci del male. Sono povere creature che sognano solo di avere parte al nostro benessere, entrando in quello che ai loro occhi è un paradiso terrestre. Non sono nostri nemici, sono soltanto poveri.

Siamo tutti consapevoli che non possiamo accoglierli indiscriminatamente. È vero che la maggior parte di loro cerca di arrivare in Italia nella prospettiva di andare a vivere stabilmente, poi, in altri paesi d’Europa. Così come è vero che, rispetto a questi ultimi, la percentuale di stranieri attualmente  presenti nel nostro è nettamente inferiore. Anche con queste riserve, dei controlli e dei limiti sono pur sempre necessari. Ma la linea che il governo e il parlamento italiani hanno seguito in questi anni non ha nulla a che vedere con una ragionevole cautela. La logica di fondo è stata quella, puramente ostile, che ha criminalizzato questi profughi, ponendo condizioni esose per concedere loro il loro permesso di soggiorno e teorizzando lo stile dei «respingimenti».

È stato in questo clima che sono maturati gli equivoci legati all’interpretazione dell’art. 12 della legge Bossi-Fini, il cui primo comma prevede pesanti sanzioni (reclusione fino a tre anni e multa fino a 15.000 euro per ogni persona) nei confronti di chi «compie atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero» (anche se non «al fine di trarre profitto», visto che per questa ulteriore ipotesi il comma 4 prevede un aggravamento della pena), e il cui secondo comma, però, precisa che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato».

L’interpretazione della legge, evidentemente, ha risentito dell’aria che tirava. E gli effetti si sono visti. «L’Italia ha normative disumane», ha detto all’indomani della tragedia di Lampedusa il sindaco dell’isola, Giusi Nicolini, a Radio Capital. «Tre pescherecci sono andati via dal luogo della tragedia perché il nostro Paese ha processato i pescatori che hanno salvato vite umane per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Il sindaco si riferiva al caso di due capitani tunisini che l’8 agosto del 2007 salvarono 44 naufraghi provenienti dall’Africa e li portarono nel porto di Lampedusa. Subirono un processo durato quattro anni con 40 giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro. L’accusa era di favoreggiamento dell’immigrazione.

Non basta, perciò, mandare le nostre navi da guerra e i nostri aerei a pattugliare il Mediterraneo. Per quanto opportune siano queste misure allo scopo di evitare il traffico di esseri umani da parte degli scafisti, esse si muovono ancora in una logica esclusivamente difensiva, che è stata peraltro finora quella dell’Unione Europea. Il problema è anche di cambiare la nostra legislazione, rendendola meno ostile. Soprattutto, però, è di realizzare una «conversione culturale», di cui il nostro Paese, per la sua tradizione cattolica, potrebbe e dovrebbe essere il primo protagonista, nella prospettiva di portare l’Europa sulla linea di una maggiore solidarietà.

In questa direzione la Chiesa italiana dovrebbe trovarsi in prima linea. Forse è ora di mettere tra i «valori non negoziabili», da rivendicare pubblicamente con tutta la forza necessaria,  la solidarietà verso i più poveri e i più deboli, quale che sia il colore della loro pelle e la loro nazionalità. Il cristiano sa che la fraternità non conosce le frontiere. Come cattolici – poco importa se «di destra» o «di sinistra» – non possiamo, perciò, supinamente allinearci sul progetto «Frontex», propugnato dall’Europa e adottato dal nostro governo. Salvo a espungere dal Vangelo la parabola del buon samaritano. E a chi obiettasse che la politica è un’altra cosa, dovremo ricordare che la Chiesa non ha mai accettato la separazione tra etica e politica operata da Machiavelli e tanto meno può farlo in un momento in cui è particolarmente evidente il disastro umano che ne deriva.

Scrivere o leggere un articolo è facile. Difficile, ma assolutamente necessario, è cambiare le cose, per far sì che non dobbiamo ancora commentare, in futuro, tragedie come queste.