Opinioni & Commenti

Testamento biologico, un brutto segnale da Firenze

di Marco Doldi

“L’Arcidiocesi di Firenze, esprime il suo rammarico e la sua preoccupazione per la decisione assunta dal Consiglio comunale della città di istituire un registro dei testamenti biologici”. Così, comincia il comunicato stampa della Curia di Firenze diffuso ieri sera, che prende atto di una decisione grave.

È evidente la confusione che questa potrà generare: quella di ritenere che chiunque possa chiedere nella circostanza del fine della propria vita trattamenti oppure rifiutarli. Una confusione, davvero, inopportuna, dal momento che il Parlamento sta democraticamente trattando una materia così delicata.

Poniamo, per esempio, che qualcuno affidi al registro del Comune la sua volontà di essere mantenuto in vita ad ogni costo o, al contrario, di non essere più alimentato. Che cosa succederà, quando la legge italiana dovesse proibire l’accanimento terapeutico o l’eutanasia? Non conveniva aspettare qualche mese, al fine di non confondere i cittadini su quello che, in definitiva, è il bene per la nostra società e su quello che è male per tutti? Nelle settimane scorse dalla Gran Bretagna sono giunte forti preoccupazioni nei confronti della pratica eutanasica: perché non fermarsi un momento ed evitare gli stessi mali?

Prudenza avrebbe consigliato che si ascoltasse chi da mesi sta lavorando su questa delicata materia, per avere un consenso condiviso su che cosa siano esattamente le direttive anticipate di trattamento, su quali gli atti dovuti e quali, invece, devono essere sospesi. In fondo, l’iter della legge sembra essere ormai compiuto! Ora, c’è da augurarsi che la decisione non segni un domani una ferita tra diverse posizioni, sostenute dalle istituzioni locali e da quelle nazionali con ricadute sulla vita dei cittadini.

E la vita dei cittadini è fatta sopratutto di valori condivisi da secoli, da tutelare e trasmettere responsabilmente. Se da qualche parte si comincia ad insinuare, ad esempio, la possibilità dell’eutanasia, si insinua, contemporaneamente, che la vita della persona in alcune circostanze non è un bene da tutelare. E questo è un passo indietro di portata storica nel progresso dell’umanità. Conviene, infatti, ricordare che un progresso autentico richiede, tra l’altro, la responsabile armonizzazione tra diritti e doveri. Ne parla con lungimiranza Benedetto XVI: “i diritti presuppongono doveri senza i quali si trasformano in arbitrio” (Caritas in veritate, 43). E un dovere preciso è quello nei confronti della vita, che nessuno si è dato, ma ha ricevuto come bene più grande ed indisponibile. Uno scivolamento su questo ha il sapore dell’autodistruzione. Si sta facendo strada una “mens eutanasica”, manifestazione di un dominio abusivo sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. L’effetto è quello di “alimentare una concezione materiale e meccanica della vita umana” (Caritas in veritate, 75).

Sul piano della formazione della cultura hanno una grande responsabilità i politici di ispirazione cristiana. Essi hanno l’opportunità di migliorare le strutture e le relazioni con la luce che viene dal Vangelo. Superata ogni falsa divisione tra privato e pubblico, possono dare alla fede il suo valore sociale, capace di aiutare positivamente la convivenza umana. Se certe decisioni vengono prese in nome della libertà, ai politici cristiani è chiesta un’opera per mostrare che cosa non può stare sotto quel nome. Ogni generazione ha il compito di impegnarsi da capo nell’ardua ricerca di come ordinare rettamente le realtà umane, sforzandosi di comprendere il corretto uso della libertà. Il dovere di rafforzare le espressioni di libertà è fondamentale, ma deve essere rettamente inteso: la vera libertà presuppone la ricerca della verità – del vero bene – e pertanto trova il proprio compimento precisamente nel conoscere e fare ciò che è retto e giusto. La verità, in altre parole, è la norma-guida per la libertà e la bontà ne è la perfezione. Aristotele definì il bene come “ciò a cui tutte le cose tendono”, e giunse a suggerire che “benché sia degno il conseguire il fine anche soltanto per un uomo, tuttavia è più bello e più divino conseguirlo per una nazione o per una polis” (Etica Nicomachea, 1; cfr Caritas in veritate, 2). Sì, la lungimiranza di guardare lontano con uno sguardo che abbraccia tutti gli uomini.

All’arcidiocesi di Firenze la vicinanza e la stima per aver alzato la voce non certo nel senso della prepotenza, ma nel senso di richiamare a quello che là sta succedendo e che riguarda un po’ tutti.

FIRENZE, APPROVATO REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI; LA DIOCESI: «ATTO IDEOLOGICO E ILEGITTIMO»