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Trise, Tasi, Tari: la casa, da sogno a incubo italiano

Per chi la casa ce l’ha in proprietà e per chi la prende in fitto, per chi è sfrattato per morosità, per chi non l’ha mai avuta e mai l’avrà, per chi la eredita o deve lasciarla in eredità ai figli, per chi è proprietario ma non ha il reddito necessario a sostenere le nuove tasse, per chi deve sopportare le spese straordinarie di manutenzione ma non ha il contante necessario, per chi ha la seconda casa al mare per fare le vacanze e farle fare a tutta la famiglia nipoti compresi ma pensa già all’Imu di fine anno, per chi non spende un euro perché aspetta di capire come va a finire questa storia della Trise che è il frutto della somma fra Tari (rifiuti) e Tasi (servizi), per chi vorrebbe venderla ma il mercato è bloccato, per chi vorrebbe comprarla ma le banche non danno i mutui, per chi vorrebbe ristrutturarla ma deve fare mille salti mortali burocratici, per chi sogna un monolocale o bilocale anche in una caserma dismessa come ha ipotizzato il Governo Letta.

Non si possono lasciare i cittadini-contribuenti in queste condizioni. Al Governo spetta la responsabilità di definire al più presto il valore effettivo della Trise, mettendo le famiglie in condizione di sapere quanto dovranno effettivamente pagare. Il tema della certezza delle tasse è una delle facce, non certo la meno importante, della certezza del diritto. Ovvero, di quel patto di fedeltà sottoscritto fra cittadini e Stato.

Ora, non sappiamo se la Trise sarà superiore all’Imu e se davvero riusciremo a mettere un punto fermo sulla tassazione che grava sull’abitazione (prima o seconda). Di sicuro, da cittadini abbiamo capito che il Governo delle larghe intese fa conto sui soldi che saranno raccolti attraverso la tassazione delle abitazioni per far quadrare i conti pubblici. Una sola annotazione: se non è uno scenario da incubo, poco ci manca. Di sicuro, tanta gente normale, comincia a fare cattivi pensieri. E l’evocazione delle caserme da adibire a spazi da destinare agli sfrattati e ai giovani è roba da economia di guerra. Sinceramente ci auguriamo di sbagliare.