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Tutti contenti torna il calcio in Tv ma ai ragazzi nessuno ci pensa

Alcune tv hanno ritrasmesso persino le prime partite in bianco e nero delle squadre più blasonate. Non sono mancati i gol degli azzurri nei Campionati del mondo vinti dalla nazionale: fanno sempre audience. A Firenze si sono riempite, e si continua a farlo, pagine di giornali grazie alla querelle sullo stadio, sui rapporti tra Rocco Commisso e il sindaco Dario Nardella. Pisa non poteva essere da meno e allora via alla polemica: stadio o moschea?

Ora ci siamo: il mondo del pallone è pronto a tornare con prepotenza nella vita di ciascuno di noi. Lo farà in quel periodo dell’anno dove i giornali erano solitamente pieni di calciomercato, di addii e di polemiche, oltre che dei ritiri per la preparazione spesso in splendide località di montagna che si tingevano dei colori delle varie squadre. Lo farà dimezzato, almeno sembra, ossia con le partite giocate in stadi deserti (fino a quando?), ma con le tv che torneranno a riempire le loro casse di soldi della pubblicità.

Inutile negarlo: tutti noi, forse anche chi scrive, aspettavamo con ansia il calendario della nostra squadra del cuore (e non solo di quella). Torneremo dalle vacanze (per i pochi fortunati che riusciranno a farle) più bianchi di quando, durante l’isolamento, ci siamo inventati spiagge sulle terrazze o nei giardini delle nostre case, ma finalmente sazi di partite, dopo il lungo digiuno a cui siamo stati sottoposti: il programma prevede partite dal pomeriggio a notte fonda.

Tutto come prima o quasi. Certamente come prima è il fatto che i soldi della pubblicità non andranno a chi cerca di vedere il calcio come un momento di crescita per i bambini e gli adolescenti. Nessuno, né la Federazione né il Governo, sembra pensare alle migliaia di società dilettantistiche che quasi mai fanno notizia se non quando da una di queste emerge il campione di turno, quei pochi, pochissimi, che riescono a sfondare.

Quelle società rischiano in gran parte la chiusura quando non il fallimento (ci sono circolini e impianti che vivono grazie a genitori che aspettano la fine della partita o dell’allenamento dei figli, e di atleti ormai attempati che si sfidano a calcetto ogni sera).

Guardando bene, queste società si possono quasi paragonare alla scuola, un altro settore dimenticato da chi governa questo Paese, dove il futuro dei nostri ragazzi poco interessa, perché quello è un settore che appassiona solo chi davvero ha a cuore il futuro e non guarda agli interessi della sua poltrona.

Ci torna così in mente la frase attribuita ad Alcide De Gasperi, ma in realtà forse ripresa da James Freeman Clarke, politico e predicatore statunitense nato un secolo prima di De Gasperi: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni». Nel nostro Paese tutti quelli che ogni giorno si trasformavano in allenatori di calcio per qualche mese sono diventati virologi o esperti di sanità. Di statisti all’orizzonte ne vediamo davvero pochi, mentre tanti sono i politici, o che si improvvisano tali. E poco importa del calcio delle piccole società, così come dei così detti sport minori: ora c’è il business, e allora andiamo avanti nella speranza che anche questo non debba rifermarsi per un virus «democratico», come lo avevamo definito qualche mese fa, che fino a oggi ha colpito un po’ tutti, chi più chi meno, anche i campioni.