Opinioni & Commenti

Un Anno della fede per la nuova evangelizzazione

di Giuseppe Savagnone

La coincidenza temporale dell’inizio dell’Anno della fede – solennemente indetto da Benedetto XVI e che sarà inaugurato l’11 ottobre prossimo –, del cinquantesimo anniversario, nella stessa data, dell’apertura del Concilio Vaticano II, nonché del ventesimo anniversario, ancora in questo giorno, della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, e infine, sempre in ottobre, dell’apertura dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, non si verifica certamente per un caso fortuito.

A fare da punto di riferimento per le altre ricorrenze è, ovviamente, l’evento conciliare. Ma non si tratta di una mera commemorazione. Se la Chiesa enfatizza questa ricorrenza è perché il richiamo al Concilio può costituire un importante punto di riferimento, per il suo cammino nel prossimo futuro, in un momento storico che la vede in forti difficoltà.

Sono sotto gli occhi di tutti quelle più contingenti, legate a veri o presunti compromessi  a livello etico: dallo scandalo dei preti pedofili, potenziato dal sospetto di una copertura da parte dei loro superiori, alle accuse di scorrettezze di ordine finanziario e fiscale, alle tempestose vicende che hanno portato alla luce poco edificanti vicende interne al Vaticano. Si tratta di situazioni  che purtroppo contribuiscono ad offuscare l’immagine della Chiesa e la sua credibilità nell’annunciare il Vangelo. E se è ben presente al cristiano che siamo comunque davanti a problemi assai meno drammatici di quelli che si sono posti in altre epoche, resta vero, tuttavia, che il mutato contesto culturale, facendo sì che essi diventino di pubblico dominio agli occhi di un’opinione pubblica assai più smaliziata e pretenziosa, ne rende più urgente la soluzione.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg. A denunciare il vero, il grande pericolo che, sotto il profilo religioso, si profila nella società contemporanea, è lo stesso Benedetto XVI, nel Motu proprio con cui ha indetto l’Anno della fede: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più esser così in grandi settori  della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n.2).

La nostra società si scristianizza. Lo dice la nostra esperienza quotidiana, lo confermano le indagini specializzate, ultima quella del Cesnur di Massimo Introvigne, presentata lo scorso 16 giugno, secondo cui ormai il 70% degli italiani, senza essere atei, sono «lontani dalla religione». Il 70%! Si capisce perché il Santo Padre abbia ritenuto prioritaria, rispetto ad ogni altra questione, quella della perdita della fede.

È per far fronte ad essa che è stata ripresa la formula della «Nuova evangelizzazione», già cara a Giovanni Paolo II, ma che sembrava ormai oscurata.

Una formula, quella della «Nuova evangelizzazione», che evidenzia come il richiamo alla fede non possa essere fatto nei termini di una devozione che tanto spesso rischia di diventare devozionismo, né di una pura e semplice moltiplicazione dei riti tradizionali, che rischia di diventare ritualismo, ma esiga un radicale sforzo di rinnovamento nel modo di «dire», e quindi di pensare, la fede stessa. A costo di rimettere profondamente in discussione gli schemi e le abitudini mentali invalsi fino a questo momento e a costringere i credenti per primi a interrogarsi sull’autenticità e la forza trasformatrice del loro modo di credere. Solo una comunità cristiana capace di questo sforzo di autenticità potrà essere capace di irradiare, con la propria testimonianza e il proprio annunzio, la Buona Notizia di cui gli uomini di oggi vanno oscuramente alla ricerca.

Su questa strada non ci si può non ispirare alla grande lezione del Concilio Vaticano II, che ha riproposto in modo nuovo l’idea stessa di Chiesa e del suo rapporto col mondo. Una lezione purtroppo fraintesa, nella turbolenta fase post-conciliare, e – forse anche per questo – oggi largamente disattesa nella prassi ecclesiale. Da questo punto di vista l’appello spesso ripetuto «Torniamo al Concilio» dovrebbe forse essere riformulato in quello «Scopriamo il Concilio».

La via del rinnovamento ecclesiale non è facile. I fiumi di retorica che in questi anni ne hanno simulato la realizzazione, ci dicono quanto sia facile parlarne senza  attuarlo mai davvero. E il mondo incredulo si chiede oggi se almeno i cristiani «ci credano» veramente. In molti dei «lontani» l’eclisse della fede ha lasciato un vuoto che essi sarebbero felici di vedere di nuovo colmato. Ma devono trovare una proposta e soprattutto una testimonianza credibili. Tocca a noi, ai credenti, uscire dalle secche dell’abitudinarismo e accogliere per primi l’invito del Papa a far brillare, in noi e fuori di noi, una fede più consapevole, capace di «parlare» ai nostri fratelli.