Opinioni & Commenti

Un Festival ingrassato a dismisura ha bisogno di una cura dimagrante

di Umberto Folena

Il guaio del Festival di Sanremo? Ritrovarsi prigioniero della sua ciccia. Archiviata l’edizione numero 58, il Festival si guarda allo specchio e scopre di essere un’anziana signora appassita. Pazienza, capita a tutti di appassire un poco, prima o poi. Basta farsene una ragione. Magari dimagrire. Ma il Festival non può. Il Festival è condannato a cercare di sedurre restando grasso. Condannato da chi, e perché?

Lo vedremo tra poco. Innanzitutto le nude cifre crudeli. Mai il giocattolone era caduto tanto in basso: serata finale con una media di poco più di 8 milioni di telespettatori per il 44,9 per cento di share. Niente male, direte voi. Quasi un telespettatore su due era lì, a rendere tributo a Raiuno. E ci vuole devozione per sorbirsi più di quattro ore di show, dalle 21 all’1.20. No, malissimo. I risultati ottenuti vanno misurati sugli obiettivi prefissi, sugli investimenti, sui sorrisi o sui mugugni di sponsor e inserzionisti. Loro non sono contenti affatto: rispetto all’anno scorso, 3 milioni di telespettatori persi e quasi 10 punti di share in meno. Quel 44,90 è una mezza tragedia, se paragonato al 75,22 del 1995 – chi conduceva? Pippo nostro! – o al 68,29 di Mike Buongiorno del 1997, al 62 stabile di Fabio Fazio nelle edizioni «uliviste» del 1999-2000, al 62,66 di Pippo tornato a salvar la patria dopo il tonfo di Raffaella Carrà dell’anno precedente. Prima di quest’anno il punto più basso era stato toccato con Simona Ventura nel 2004 – 48,57 per cento – e sembrava una tragedia.

Ce ne faremo una ragione, direte voi. Ecco il problema: qualcuno non riesce né può farsene una ragione. La Rai ha bisogno di spremere il limone sanremese. Il Comune di Sanremo ha un contratto sugoso e reclama una barcata d’euro. Lo show costa caro. Per farlo rendere, dunque, Raiuno è «costretta» a spalmarlo lungo una settimana intera e a dilatarlo, con il dopofestival, a più di 4 ore a serata, ben oltre ogni ragionevole soglia di sopportazione umana, per ricavare abbastanza spazi pubblicitari. È evidente che nessun essere umano senziente riesce a sorbirsi una serata intera.

Così da tempo il Festival è diventato l’ipermercato della canzonetta e dell’intrattenimento, dove uno entra ed esce, si concentra e si distrae; l’importante è che tenga il televisore sintonizzato su Raiuno per un po’, per rinvigorire audience e share.

È chiaro perché l’anziana signora non può dimagrire? Così rimane prigioniera della sua ciccia e lentamente si accascia e si spegne. Tra tanto grasso superfluo le canzoni spariscono, divenendo superflue esse stesse. Infatti nessuno, avendo una buona canzone sui tasti del pianoforte, si sogna di mandarla a Sanremo: vorrebbe dire buttarla via. E chi vale e vince – ad esempio Giorgia ed Elisa – si guarda bene dal ritornarci: ho pagato il mio tributo alla casa discografica, dice, adesso basta. Festival della canzone italiana? No, show televisivo con qualche irrisoria canzonetta dentro. Non a caso i riflettori sono concentrati sul conduttore, la sua spalla e le vallette. Sarebbe come seguire una partita di calcio inquadrando sempre l’arbitro e i suoi assistenti.

Prigioniera del suo tragico destino, la balenottera si salverebbe solo se potesse dimagrire fino a tramutarsi in delfino, ma non può. Il mare televisivo cambia. I telespettatori sono sempre meno fedeli, attratti dalle mille sirene dei mille canali satellitari e dalla secolarizzazione dell’etere, per cui agli antichi riti non è più obbligatorio rendere omaggio e perfino Chi l’ha visto? batte il Festival, perfino Federica Sciarelli strapazza Pippo Baudo, e se al mercoledì c’è il campionato di calcio è meglio, per evitare tracolli, fare un pausa.

Il Festival avrebbe un senso se tornasse alle origini: tre serate, dalle 21 alle 20,30, fatte di sole canzoni, buone canzoni cantate da buoni cantanti vivi, non moribondi. Da balenottera a delfino, appunto. Non ci sarebbe bisogno di alcuno scandalo, come denunciava in un accesso d’ira Pippo nostro, lui peraltro esperto in materia, avendo salvato in una memorabile serata un «aspirante suicida» («Mi butto, mi butto») in posa sulla balconata dell’Ariston. «Io comunque un altr’anno non ci sarò» ha comunicato Pippo Baudo. Ha 72 anni, largo ai giovani. Pare siano stati avviati contatti con Raimondo Vianello