Opinioni & Commenti

Un gioco al massacro con in campo una classe politica inadeguata

DI ALBERTO MIGONE«Cessate di uccidere i morti / non gridate più, non gridate / se li volete ancora udire / se sperate di non perire». Questo invito accorato di Ungaretti risuona in noi e si fa nostro di fronte alla pubblicazione di alcune lettere che riportano alla ribalta la vicenda tragica di Marco Biagi. Ma non è «memoria buona», non si fa momento unitario di popolo, anzi riaccende animosità e sospetti.

Queste lettere, oltre a riproporre il problema della scorta negata, pongono interrogativi non meno inquietanti: infatti in questa tardiva pubblicazione sembrano «strani» i tempi, i modi, i canali e soprattutto il perché. E si fa strada il dubbio che tutto faccia parte di un gioco al massacro che non risparmia nessuno e che lascia l’amaro in bocca.

E in questo turbinare di sospetti e accuse reciproche quasi scompare – come se ormai non importasse a nessuno – il dramma dell’uomo Marco Biagi, il dramma di chi sente avvicinarsi una morte programmata e annunciata, che chiede invano aiuto e che in questa solitudine può contare solo sui propri cari, essi stessi però motivo di pena nella consapevolezza che soffrono per causa nostra, anche se non per colpa nostra. Alcuni accenni alla madre sono, a questo proposito, umanissimi e toccanti.

Ma in questa vicenda – che temiamo possa riservarci ancora sorprese – emerge anche la pochezza dell’attuale classe politica (e non solo politica) che, in una sconsolante par condicio, sembra incapace di gestire le emergenze con la dovuta serietà.

Più che le parole in libertà e i piccoli interessi di gruppo servirebbero silenzio operoso, concordia fattiva e soprattutto un sussulto di dignità.

Nella foto, l’abitazione dell’economista dopo l’agguato mortale