Opinioni & Commenti

Una Pasqua nel dolore ma aperti alla speranza

di Giuseppe BetoriArcivescovo di Firenze e presidente della Conferenza episcopale toscana

E’ una Pasqua segnata dal sangue, dal dolore e dalla sofferenza quella che ci troviamo a vivere quest’anno, segnata dalla terribile tragedia del terremoto in Abruzzo. Un contesto di angoscia che non avremmo voluto, desiderosi di immergerci subito nella prospettiva di rinnovamento della vita che la Pasqua porta con sé e facili come siamo a subito proiettarci nella gioia della risurrezione dimenticando le tenebre della croce.

Ed ecco allora che la triste condizione di questi giorni ci invita a riprendere in mano un orizzonte compiuto dell’evento pasquale, senza selezioni arbitrarie di momenti e di atteggiamenti, indirizzati a una visione del mistero pasquale in tutta la sua interezza, senza sconti. Questo ci impone di assumere fino in fondo la realtà sconvolgente della morte del Figlio di Dio sulla croce quale esito accolto e scelto del suo donarsi all’umanità senza riserve, secondo una logica di amore che non teme di consegnarsi anche al nemico e di rinunciare alla vita per il bene dei fratelli. E proprio quest’orizzonte di donazione di sé, che Cristo ci mostra, possiamo scorgere sullo sfondo dei tanti gesti di generosa dedizione, in cui quanti stanno operando in Abruzzo, in specie i volontari, mostrano la parte migliore del nostro popolo, quella in cui germinano ancora i semi gettati in esso da una cultura illuminata dal Vangelo di Gesù.

La stessa generosità è chiesta a ciascuno, nei modi che gli sono propri e nelle condizioni in cui si può esprimere, liberando proprio in questa situazione di sofferenza le istanze di bene che sono al fondo del cuore e condividendo con i fratelli meno fortunati qualcosa di ciò che si ha. Non voglio peraltro nascondermi anche la dimensione di scandalo che c’è nella esplosione di male che nella forme della morte e della privazione degli affetti più cari si è abbattuta su bambini, giovani, genitori e anziani, partecipando anch’io alla domanda «perché?», che sgorga dalla bocca di molti in questo momento.

È una domanda audace, ma lecita, che non pone in pericolo la fede, ma la aiuta ad approfondirsi e radicarsi. Ce lo insegna Gesù stesso, che dalla croce non  teme di alzare verso il Padre il grido «perché mi hai abbandonato?».

L’invocazione non dice che Dio è la causa del male, ma è appello perché nel male, che resta un mistero, l’uomo non si ritrovi solo, ma abbia Dio al suo fianco. La fragilità della condizione umana non si esprime soltanto nella possibilità di cadere nel peccato, ma anche in quella precarietà dell’esistenza, minacciata da malattia e morte, che segna il nostro limite. Proprio quel limite che rende possibile l’esercizio della nostra libertà, è anche il fondamento del nostro dolore. Non a caso il mondo nuovo cui aspiriamo, non è solo una vita nuova ed eterna per le persone, ma una nuova creazione dell’intero mondo, anch’esso coinvolto nella rigenerazione di tutte le cose.

Ma la risposta più profonda a quel «perché?» è nel secondo volto della Pasqua, quello che fa seguire alla croce la risurrezione. Il futuro dell’uomo ha in Cristo risorto la primizia di un mondo nuovo che ci spinge oltre il tempo e oltre i limiti del mondo verso l’eternità e la pienezza di Dio. È questa la risposta che il Padre offre a quanti si lasciano avvolgere dal suo amore e che riluce in ogni gesto di amore che già qui e ora riusciamo a porre con la forza del suo Spirito, che il Risorto ci comunica.

Quindi, anche in questi giorni di tristezza, ripetiamoci «Buona Pasqua», perché il Signore è risorto e in lui tutta la vita risorge e si apre alla speranza.