Opinioni & Commenti

Una bellezza tipicamente umana

di Timothy VerdonAncor oggi, chi viaggia per la Toscana ha l’impressione di riscoprire un lontano passato le cui coordinate spirituali oltre che topografiche erano segnate da importanti luoghi di vita comunitaria cristiana. In prossimità all’antica Cassia romana, oltre alle numerose pievi risalenti a prima del Mille che attestano il radicamento della fede tra i popoli della zona, nell’arco dei secoli si sono infatti insediati monaci e frati di diverse tradizioni religiose, la cui vita ritmata dalla preghiera liturgica e contemplativa, dal lavoro e dallo studio sembra essersi impressa nel carattere della gente e – verrebbe quasi da dire – nel paesaggio stesso, il cui contorno dolce ed ordinato emana pace.

L’umanità e la tenerezza delle Madonna toscane – l’immagine forse più tipica della nostra come di altre zone d’Italia – in effetti rispecchiano una spiritualità specificamente toscana, distillata dalla secolare vicinanza di comunità di vita consacrata.

L’uso di immagini e di splendide suppellettili nel contesto della vita liturgica della Chiesa è servito nei secoli a manifestare il particolare rapporto che, grazie all’Incarnazione di Cristo, sussiste tra «segno» e «realtà», all’interno dell’economia sacramentale. Tale rapporto, invero, traspare in tutte le opere che l’uomo associa al culto divino: dai vasi sacri e tessuti alle più monumentali costruzioni architettoniche. L’uso delle cose nella liturgia della Chiesa rivela ed attualizza la vocazione del mondo infraumano, chiamato insieme all’uomo e per mezzo dell’uomo a rendere gloria a Dio.

Per un processo misterioso e nel contempo semplice, questa «rivelazione» diventa poi parte integrante della fede vissuta, specialmente nell’ambito della celebrazione e del culto eucaristico: trovando Dio presente nella materia, il credente è portato a cogliere la nuova dignità di ogni cosa materiale, diventata ormai (almeno tendenzialmente) «ostensorio», come ogni «vedere» umano è ormai chiamato a farsi contemplazione adorante.

L’associazione di cose materiali elevate al servizio divino con il culto di Maria, infine, ha una sua imprescindibile logica cristiana ed umana, perché è precisamente grazie alla Madonna che un Dio tutto spirituale ha potuto entrare nel mondo delle cose, incarnandosi nel grembo di questa donna. In lei, il potenziale spirituale di ogni cosa materiale infatti è reso manifesto!

La storia della Toscana è poi inscindibile dalla grande storia delle lotte tra antiche famiglie ghibelline e nuovi comuni guelfi del Chianti, come attestano ancora i resti di piazzeforti sia fiorentine che senesi, castelli e villaggi fortificati quali Cacchiano, Lucignano, Brolio, Monteriggioni, Panzano, Montefioralle, Lamole, Volpaia e Castellina in Chianti. È una storia drammatica, cioè, che – sviluppandosi soprattutto nel Due e primo Trecento – coincide con la prima diffusione della spiritualità fortemente affettiva di cui Francesco d’Assisi e i suoi seguaci furono tra i più eloquenti fautori. Non sorprende perciò che, dopo la Madonna, l’altro grande tema dell’arte toscana sia Cristo nei vari momenti della sua Passione. Spesso simili opere in origine avevano la funzione di pale d’altare, così che (ad esempio) il corpo di Cristo tra le braccia della madre dolente, che magari oggi vediamo in un museo, doveva essere visto sopra una mensa eucaristica su cui lo stesso corpo veniva reso presente nella Messa, esprime con singolare efficacia l’intima conoscenza del dolore di questa terra per secoli martoriata da sanguinosi conflitti.

Simili immagini sono estrapolazioni devote, senza vero fondamento scritturistico ma con fonti che vanno cercate nella cultura del popolo: nel dramma sacro italiano, nella poesia religiosa italiana e in inni quale lo Stabat Mater, che la tradizione attribuisce al francescano Jacopone da Todi, morto nel 1306. Le immagini hanno infatti la stessa funzione dell’inno: e cioè di far sentire emotivamente, come si credeva Maria avesse sentito, la sofferenza di Cristo. Ad un certo punto, chi canta lo Stabat Mater chiede direttamente a Maria: «Fac me tecum pie flere, /Crucifixo condolere, /donec ego vixero» – «Fammi piangere piamente con te,/ e provare il dolore di Colui che è crocifisso,/ per tutto il lungo della mia vita». Ecco una buona definizione della bellezza tutta umana dell’arte sacra toscana: è la bellezza di un’intensissima partecipazione psico-fisica alla vita, morte e risurrezione di Colui che chiamiamo «il più bello tra i figli dell’uomo» e della sua madre, Maria la «tutta bella»!

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