Opinioni & Commenti

Una politica malata per la quale non tutte le cure vanno bene

Lo scontro che si profila tra governo italiano e istituzioni europee, per via della manovra approvata da Roma, difficilmente potrà essere evitato, salvo sorprese dell’ultimo momento. Sarebbero, per l’appunto, delle sorprese, perché anche solo un ritocco su quota 100 (che è il vero scoglio su cui rischia di infrangersi la finanziaria italiana) o sul reddito di cittadinanza difficilmente potrebbe passare per un trionfo. E il governo attuale di soli trionfi sa vivere: elettorali, sui migranti e le navi delle ong. Come sempre accade a chi si pone su questa pericolosa china, la prima mezza sconfitta può tramutarsi nell’inizio di un lento e inesorabile declino. È successo anche non troppo tempo fa, con altri esecutivi. Diceva Caterina di tutte le Russie: «Ciò che smette di crescere inizia a marcire».

Al momento i sondaggi sono molto buoni, e danno alla maggioranza un aggregato di circa il 60 percento, ma il trend da qualche settimana è stabile se non al leggero ribasso. Potrebbe essere una normalissima pausa dovuta ad una fisiologica stanchezza, dopo tanto crescere. Le prossime settimane ci porteranno maggiore chiarezza. Se la tendenza dovesse confermarsi (un punto in meno ogni due settimane) allora si tratterà di un vero allarme: i consensi persi un poco alla volta sono i più difficili da riguadagnare.

Si affaccia ogni tanto, dalle righe finali delle cronache politiche, un concetto che non ci si aspetterebbe di trovare, l’idea di un ricorso alle elezioni anticipate. Vi penserebbero a giorni alterni i grillini come i leghisti, a seconda delle difficoltà della giornata. Alla fine potrebbero avere un interesse coincidente nello stesso quarto d’ora, e allora sarebbero guai. Il Paese ha bisogno di tutto meno che di questo: proprio una manovra come l’attuale, che in molti percepiscono come avventuriera o per lo meno poco legata ai duri conti della realtà, formerebbe con una campagna elettorale presumibilmente ancor più populista di quella di marzo una combinazione quasi letale. Non si tratta di tifare per uno schieramento o l’altro (tutti hanno le loro responsabilità), quanto semmai di avere coscienza del quadro politico attuale. Come anche del quadro futuro.

Andare alle elezioni anticipate sarebbe, per Lega e M5S, l’ammissione di una sconfitta. Difficile presentare come un trionfo il fatto che ci si è presentati a maggio con un governo che prometteva la Terza Repubblica, ed ammettere che forse bisogna pensare alla Quarta perché quella immediatamente precedente è venuta una maionese impazzita. Un fallimento politico che i due partiti sarebbero costretti a nascondere, spingendo ancor più l’acceleratore sui temi cari alla loro comune matrice populista. Le opposizioni, da parte loro, continuano ad avvilupparsi in una crisi che pare renderli quasi felici. Senza voler richiamare paragoni storici non corretti, bisogna sempre ricordare che, almeno secondo lo storico Hagen Schulze, il fallimento di Weimar fu per tanta parte dovuto alle incapacità della sinistra tedesca.

I motivi di preoccupazione sono molti, perché le radici del successo del populismo sono ancora rimaste ben piantate nel terreno, a partire dall’impoverimento costante del ceto medio e dal fallimento del liberismo all’italiana. Andare alle elezioni ci regalerebbe non una soluzione, ma un problema ancor più complicato. Molto meglio, nel caso non improbabile che prima o poi esploda l’alleanza di governo (che alleanza non è, per esplicita ammissione dei due contraenti del Contratto di governo), un esecutivo di decantazione. Che dia tempo, magari, alle forze migliori della società di riorganizzarsi e dare vita anche a nuove forme di partecipazione politica. Perché se i partiti hanno deluso, l’unica risposta non è rifugiarsi sull’Aventino o dare sfogo alla rabbia, ma cercare di dare noi un contributo per il bene comune.