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Filologico e spietato. Questo è Woody Allen nel suo nuovo film La ruota delle meraviglie, che stranamente passava per una commedia e invece è un dramma esistenziale decisamente senza speranza e sostanzialmente anche senza umorismo se non in versione cupa e sarcastica.

Zvyagintsev dimostra come con la tecnica cinematografica si possa anche scendere all’interno dei personaggi per scoprire qualcosa o niente. E non cambia registro per tutto il film, che non si trasforma in un thriller ma resta saldamente ancorato alla ricerca paesaggistica che corrisponde a quella umana.

È il terzo e conclusivo capitolo di una serie, ma in un certo senso potrebbe anche essere un film a sé stante nel quale contano più i tre protagonisti e una costruzione assai più tradizionale delle due precedenti che la coralità del gruppo.

Nel 1967 Detroit fu la capitale mondiale degli scontri razziali. E questo ci pensa Kathryn Bigelow a ricordarlo a tutti, con un film che ricostruisce quanto accaduto un po’ sulla base degli atti, un po’ sulla base di testimonianze delle quali all’epoca non si tenne conto

«Agadah»  è una consapevole operazione di recupero del gusto della narrazione, di attenzione alle fonti, di costruzione di storie concentriche come spesso è la vita,  di accettazione di una ineluttabilità che non esclude nessuno.

In un film molto legato all’argomento trattato più che alla tecnica usata per rappresentarlo, è essenziale capire che il tema principale non è dove siamo disposti ad arrivare per ottenere quel che vogliamo, ma quanto possa incidere sulle nostre scelte una coscienza troppo spesso messa a tacere.

Paolo e Vittorio Taviani danno  la loro interpretazione del romanzo di Beppe Fenoglio pubblicato postumo nel 1963. I fratelli di San Miniato tornano così a raccontare la guerra e la resistenza trentacinque anni dopo «La notte di San Lorenzo»

It

Con i suoi scantinati, i suoi sotterranei,  le apparizioni del clown  e di altri mostri, le atmosfere pesanti e tutti i ricordi che certamente sarà in grado di suscitare  nel pubblico, «It» raggiunge un buon livello qualitativo limitando  al minimo gli eccessi  di sangue e smembramenti

Appare evidente che siamo di fronte ad un film pieno di difetti, dalle lacune di sceneggiatura alla costruzione fumettistica di qualche personaggio non secondario. È talmente palese che fa seriamente pensare a una precisa volontà dell’autore.

Il sequel di Blade runner, firmato Villeneuve, più dell’originale che raccontava di una caccia all’uomo, si pone come un’impresa coraggiosa e rischiosissima: scommette tutto sullo stile e propone una durata di due ore e quaranta con due soli avvenimenti da raccontare.