Sacro e profano
Nei primi anni di Lipsia, dovendo produrre una o due cantate alla settimana, Bach fu costretto a riutilizzare lavori già composti a Weimar o a Köthen: parodia, elaborazione o adattamento per nuove opere la cui riuscita non era minimamente inficiata da tale prassi, che risaliva lontano nel tempo fino al Rinascimento (Savonarola, è noto, prendeva le canzoni note e spesso sconce della banda di amici di Lorenzo il Magnifico, ne mutava il testo, e ne faceva una lauda sacra).
Cinque le diverse operazioni compiute da Bach: 1) riversamento di una cantata sacra dentro una nuova cantata sacra; 2) riversamento di una cantata profana dentro una nuova cantata sacra; 3) riversamento di una cantata profana dentro una nuova cantata profana; 4) riversamento di un lavoro strumentale dentro un lavoro vocale; 5) riversamento di un lavoro vocale dentro un lavoro strumentale. Mai una cantata profana fu riutilizzata per diventare una cantata sacra: un lavoro profano poteva innalzarsi a diventare lavoro sacro, ma un lavoro sacro non poteva mai abbassarsi a diventare profano: un principio etico. Le categorie di sacro e profano, in musica, non entrano in conflitto fra loro: riversamenti che poi corrispondono alla stessa vita professionale di Bach, nel suo imperturbabile passaggio dalla vita di chiesa a quella di corte, a quella cittadina, al bar o alla vita famigliare. In Bach il capolavoro non arriva da un’idea unica, originale e irripetibile, ma da una articolato sovrapporsi di esperienze che si accumulano, si sedimentano e si trasformano.
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