Sanremo, i sessant'anni sono ok per la pensione
di Mauro Banchini
E se, arrivato a quota 60, Sanremo ci facesse un enorme regalo decidendo di farla finita con 'sto festival del cavolo oppure, ipotesi alternativa, lo tagliasse a una serata unica? Saremo in molti ad accendere, per grazia ricevuta, tonnellate di ceri a Remo, Romolo e compagnia santa, compresa Cecilia la patrona della musica.
Lo dico perché non ne posso più di scrivere il solito pezzo che tenta di prendere per i fondelli qualcosa che ormai si prende per i fondelli da solo. E lo dico con tutto il rispetto per l'importanza, anche economica, dell'industria discografica: ponti d'oro per le canzoni, ma che barba un evento così dilatato, gonfiato, costruito su polemichette vere come le piazze degli outlet.
Dovremo ripupparcelo per altri 60 anni? Amen, ma almeno ripensatelo, riprogettatelo, prosciugatelo, fatelo tornare a essere quello che era forse all'inizio: una semplice vetrina per ascoltare canzoni.
E veniamo alla prima puntata. Chi legge l'avrà già sepolta, ma a me sono rimasti dentro dieci momenti.
Bonolis-Laurenti. Mi facevano ridere quando cominciarono con le «scemette» ma ora non li sopporto più. Il massimo l'hanno dato con la battuta sul cognome del direttore Rai seduto in prima fila accanto a una bella e bene scosciata signorina consapevole di essere in prima fila e bene scosciata. Siccome si chiama Mazza, i suoi figli potrebbero chiamarsi secondo l'umorismo laurentino «mazzini».
Clerici. Una bella signora appena diventata mamma merita solo un applauso. Ma non posso farci nulla se l'ho trovata inguardabile. Perfino le poppe, rese gigantesche non solo da mamma natura, erano buffe. Impossibili i vestiti, sbagliati i tacchi, incerta la conduzione, inutili i duetti con la giuria, falso il superlativo iniziale («bellissime») dedicato alle canzoni.
Ambaradan. L'unica cosa buona è che, Antonella, è riuscita a chiudere mezzora prima l'intero ambaradan: termine oggi di grande moda. Il primo ad averlo sdoganato è stato Pierluigi Bersani. Per adesso l'unica sua grande vittoria politica.
Grandi. Nel senso di Irene. La ragazza a me sta simpatica. Per uno strano caso della vita, Irene io l'ho vista bambina che giocava nella piazzetta del paese. Mi auguro che «Halley», la cometa, le porti fortuna.
Parole. I testi delle «bellissime» sono sconcertanti. «Apri le tue ali e voleremo come aeroplani stringimi forte le mani e voleremo come aeroplani»: capelli grigi, vestito della domenica ma subito cacciato dalla giuria, Cutugno Toto ci ha deliziato con simile prosa. Ma anche altri «big» (sic), con le rime, non ci sono andati di scartina. Uno che si chiama Fabrizio Moro ci ha confessato di fare fatica «a trovare un pretesto e a essere onesto». Problemi tutti suoi comprese le altre rime («prigione, occasione, canzone») e compreso uno strepitoso finale che, assicuro, recita: «la-la-la-lallà la-la-la-lallà». Ma forse sono anche problemi nostri.
Cassano. Che sia «un grande talento del calcio italiano», come ha cinguettato la fasciatissima Clerici, non ci piove. Ma che ce lo dovessimo puppare a Sanremo 2010 (con mamma e fidanzata ospitate, presumo, a carico nostro), ciò è assai più dubbio. In compenso abbiamo appreso che: ama D'Alessio Gigi («ma solo come cantante perché a me non piacciono gli uomini»); è bocciato sei volte fra elementari e medie però ora è miliardario e scrive libri che il popolo briaco addirittura compra (perfetto esempio, che farà la gioia di ogni bravo insegnante, sulla utilità di scuola e cultura).
Furbate. Le trovo insopportabili, ma ormai il mondo si regge su questo tipo di troiai mediatici (l'arte di inventarsi polemiche, creare attesa, programmare marchette) e pochi hanno voglia di protestare. Tre esempi: Povia che canta «la verità» sul caso Englaro; Morgan che racconta il suo rapporto con la droga; Pupo che canta Dio e Patria con quel fessacchiotto di Emanuele Filiberto.
Enigmi. Siccome, per via di Bossi, il Festival ha anche parlato straniero e il napoletano Nino D'Angelo, con una signora che si chiama Maria Nazionale, ha cantato «Jammo Ja» devo confessare che, in quel testo, non ho capito un tubo. E non ho capito cosa volesse dire tale Mengoni Marco (uno che veste una camicia mezza nera e mezza bianca per me dovrebbero chiuderlo) quando pigolava, non so bene a quale sfortunata ragazza, «ti confonderò, sarò forte e debole e tu mi amerai».
Vincitori. Ci provo. Se la batteranno Simone Cristicchi («Meno male che») e quel buffo tipo chiamata Arisa («Malamorenò»). Con tre travestiti tre, Arisa mette un po' di allegria: a patto di non dare troppo peso alla storia di suo nipote «emigrato sulla luna per cercare fortuna». Fosse andato in Nuova Zelanda, avrebbe forse cercato la zia «Jolanda»? E anche il Cristicchi ci diverte con «se si parla di te il problema non c'è» dedicato a Carla Bruni con un ritornello («sarko no e sarko si») sufficientemente cretino per avere successo planetario.
Bravi. Quei giudici che hanno cacciato subito il duo Pupo/Savoia con un povero tenore lì per caso. Che sia proprio Filibertuccio a proferire «credo nella mia cultura e nella mia religione per questo non ho paura di esprimere la mia opinione», a me mi ha fatto incacchiare. E, subito dopo, ridere.
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