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Cosa simboleggia la tunica senza cuciture di Gesù

Nel Vangelo si sottolinea che la tunica di Gesù non era cucita ma ricavata da un unico pezzo di stoffa. Cosa significa? Ha un valore simbolico particolare? La spiegazione del biblista

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Nel Vangelo della Passione si sottolinea che la tunica di Gesù non era cucita ma ricavata da un unico pezzo di stoffa. Cosa significa? Ha un valore simbolico particolare?

Risponde don Stefano Tarocchi, preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale
Veniamo anzitutto al testo evangelico del Vangelo di Giovanni, in cui si fa riferimento all’episodio: «i soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Così si compiva la Scrittura, che dice: “Si sono divisi tra loro le mie vesti”, e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”. E i soldati fecero così» (Gv 19,23-24).
Il racconto della passione secondo il quarto vangelo è l’unico a ricordare che nel momento in cui Gesù viene preparato alla crocifissione, i soldati che adempiono al compito di mandare a morte Gesù, dopo essersi divise le sue vesti in quattro parti, una per ciascun soldato, devono decidere sulla tunica portata da Gesù.
Il testo del Vangelo insiste sul fatto che questa, indossata sulla pelle della persona, era tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo: si presentava senza cucitura alcuna: non era però un capo di valore particolare. Su questo indumento avviene allora qualcosa che prima non era accaduto. I soldati gettano le sorti su questa veste di Gesù per vedere a chi tocchi.
Nello sfondo c’è il testo del Salmo 22: «si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Questo salmo diventa a tutti gli effetti la traccia che sottosta al racconto della passione. L’evangelista insiste sul compimento delle Scritture. È come se esse stesse contribuiscano a fornire la traccia degli eventi che portano il figlio di Dio sulla croce.
Non è dunque un caso che l’evangelista insista così tanto su questo dettaglio: la tunica di Gesù rimane intatta. Questo è un particolare che ritornerà più avanti nel capitolo seguente, quello aggiunto dopo la prima conclusione del Vangelo, e che narra la manifestazione di Gesù sul mare di Tiberiade, in Galilea.
Anche in questo caso c’è qualcosa che non si spezza, sebbene per altra ragione.
Seguiamo il testo del Vangelo: «Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca, ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò» (Gv 21,1-11)
Al pari della tunica, anche la rete non si squarcia, in questo caso vincendo il peso dei pesci e la naturale tensione della rete – quindi non per conservare il valore di una veste tessuta in un solo pezzo. L’evangelista lo fa notare con lo stesso verbo greco, schizo, da cui deriva il termine «scisma», che poi sarà usato per indicare le fratture che possono sempre presentarsi all’interno della comunità cristiana.
In sostanza, il messaggio che emerge è questo: la morte di Gesù crea la condizione perché la comunità dei suoi discepoli rimanga intatta.
Non è quindi un loro merito quando la comunione viene mantenuta intatta anziché frantumarsi innumerevoli volte, come la storia ci insegna, ma un dono incommensurabile di Gesù che va incontro alla morte e poi risorge alla vita.
Quando questa unità viene infranta, per qualunque ragione avvenga questo, non è spezzato soltanto un punto di vista ma il dono più grande del Cristo Signore ai suoi discepoli: la comunione con Lui.

Cosa simboleggia la tunica senza cuciture di Gesù
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