Risponde il teologo
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Se manca il parroco, si può affidare la cura della parrocchia a una donna?

Nelle parrocchie spesso sono le donne a portare avanti il catechismo, l'animazione della liturgia, tante opere di carità. Sarebbe possibile affidare a una donna la guida di una comunità parrocchiale, in mancanza di un parroco? La risposta del teologo 

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Vedo che nelle parrocchie spesso sono le donne a portare avanti il catechismo, l'animazione della liturgia, tante opere di carità. Mi chiedo se non sarebbe possibile trovare una formula per affidare a una donna la guida di una comunità parrocchiale (pur senza necessariamente aprire alle donne il sacerdozio).
Lettera firmata

Risponde padre Valerio Mauro, docente di teologia sacramentaria

Un dato di fatto solleva un interrogativo lecito. Riassumo così la domanda del lettore, nella quale si intrecciano vari risvolti. L’assunzione di responsabilità da parte delle donne non dovrebbe essere messa in questione. Del resto, questo appare evidente sullo scenario dell’attuale politica italiana, ma anche in ambito ecclesiale, piano piano, qualcosa si sta muovendo. Sarebbe auspicabile con una maggiore fluidità ed estensione, perché la distinzione di genere non ferisce l’uguaglianza battesimale: «Tutti voi, infatti, siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo … non c’è uomo e donna perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28). L’ipotesi avanzata dal lettore trova già una possibile realizzazione a livello canonico. Il Codice di Diritto Canonico prevede: «Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare a un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o a una comunità di persone una partecipazione nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale» (Can. 517,2). Oggetto primo del canone è la nomina di un presbitero come moderatore, assumendo come dato di fatto l’affidamento di una parrocchia a «persona non insignita del carattere sacerdotale» secondo il discernimento del vescovo, cosa che è già avvenuta in alcuni luoghi. Per esempio, nella diocesi di Essen in Germania, il vescovo, mons. Franz-Josef Overbeck, ha nominato «commissario parrocchiale» la signora Sandra Schnell, assistita da don Johannes Broxtermann nella qualità di moderatore. Così pure in Russia, il vescovo di Volvograd, mons. Clemens Pickel, ha affidato alla signora Natalia Kilina la guidare della parrocchia di Kamyshin, con l’incarico di moderatore a padre Joseph Matis.
La norma del canone è stata ripresa e commentata dall’istruzione della Congregazione del Clero La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, del 29 luglio 2020: «In circostanze pastoralmente problematiche, per sostenere la vita cristiana e far proseguire la missione evangelizzatrice della comunità, il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico» (n. 87). La Congregazione ricorda che «si tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale, dovuta all’impossibilità di nominare un parroco o un amministratore parrocchiale, da non confondere con l’ordinaria cooperazione attiva e con l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i fedeli» (n. 88). Infine, l’istruzione pone l’accento sulle dimensioni straordinaria e temporanea della soluzione (n. 90), sottolineando il valore della contemporanea nomina del presbitero moderatore (nn. 91-93).
È chiaro come il punto di vista lungo il quale si muovono sia il Codice che l’Istruzione sia diverso da quello del lettore. La possibile assunzione di responsabilità di leadership sopra una comunità parrocchiale da parte di un laico, uomo o donna che sia, non viene legata al ruolo che di fatto essi già svolgono, ma alla necessità, all’impossibilità di nominare un presbitero come parroco stabile. Questa assunzione di guida pastorale viene distinta dalla normale collaborazione tra clero e laici che deve informare l’azione evangelizzatrice ordinaria.
Ora, il passaggio da una corresponsabilità con ruolo di guida o animazione nei singoli ambiti della pastorale all’assunzione di una responsabilità globale sulla comunità non mi sembra immediato. E di conseguenza, al momento attuale, non ritengo sia facile trovare una formula adeguata alla domanda posta. Probabilmente l’attuale normativa non soddisfa quanto mi sembra auspicato dal lettore. Le norme canoniche si fondano sulla riflessione teologica, qui in specie ecclesiologica. È su questo terreno che occorre riflettere, spingendosi senza timore verso una possibile e maggiore comprensione evangelica. La storia mostra come le strutture ecclesiastiche siano mutate nel tempo, legate ai diversi contesti culturali, cercando di rispondere alle necessità del popolo di Dio. Per esempio, a fine giugno prossimo, presso il seminario di Lucca, la 72ª settimana di aggiornamento del Centro di orientamento pastorale (Cop) metterà a tema la presenza ecclesiale nei piccoli paesi. Immaginando la realtà concreta di queste comunità di montagna o campagna, provo a pensare quale possa essere il sentire dei fedeli di fronte a una battezzata o battezzato che, giorno dopo giorno, vive in mezzo a loro, coordina le attività della comunità, si spende curando relazioni fraterne, guidando alla preparazione delle liturgie sacramentali, presiedute da un presbitero venuto per l’occasione. Quale figura pastorale emergerebbe dalla fede vissuta di quel popolo? E come riflessione critica sull’esperienza di fede, la teologia dovrebbe avere il coraggio di mettere a tema questa realtà, presumibilmente sempre più frequente nel nostro paese.

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