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Gli stadi si svuotano mentre cresce il busines del pallone

Pochi giorni fa si è conclusa ufficialmente la sessione estiva del calciomercato, che ha visto i club di mezzo mondo al centro di trattative milionarie per accaparrarsi i migliori giocatori in circolazione. Il fiume di denaro versato quest’estate dalle società europee per le campagne acquisti è stato enorme: basti pensare che soltanto le squadre inglesi hanno speso in totale più di un miliardo e 300 milioni di euro, facendo della Premier League il campionato che ha speso di più nella storia di questo sport. Ma se in Inghilterra i club possono contare sul ricchissimo contratto che ha permesso alle società di spartirsi i cinque miliardi di sterline per il rinnovo dei diritti televisivi, in Italia una miniera d’oro del genere non esiste. Ma nonostante il calcio italiano abbia smesso ormai da anni di essere il palcoscenico più ambito dai campioni e dagli sponsor, la Serie A si è piazzata ugualmente al secondo posto nella classifica dei campionati più spendaccioni.

Le squadre italiane infatti hanno investito in totale 706 milioni di euro, quasi il doppio rispetto ai 382 milioni di cinque anni fa e addirittura cento in più di quanto fu sborsato lo scorso anno.

In questa particolare graduatoria dei Paesi che più hanno messo mano al portafogli, l’Italia precede la Germania, che ha speso 541 milioni, e perfino la Spagna, che ne ha sborsati soltanto – si fa per dire – 458.

Tutto questo, ovviamente, senza tenere conto degli stipendi che ogni calciatore percepirà dalla propria società nel corso di questa stagione, i quali spesso arrivano anche a un milione al mese. E anche se nel complesso, tra entrate e uscite, la Serie A ha chiuso quasi in pari (il saldo è negativo soltanto per 10 milioni), il segnale che arriva dal mercato estivo è inequivocabile: il business del calcio non conosce crisi.

Mentre il Paese arranca con un debito pubblico alle stelle e quasi ogni settore dell’economia stenta a riprendersi, il nostro calcio continua a investire senza un freno. Forse non guasterebbe un po’ di sana sobrietà.

Il paradosso, però, è che il volume dei capitali spesi negli ultimi anni non è andato di pari passo con i successi sportivi, dal momento che i nostri club sono spesso umiliati nelle coppe europee e l’ultimo successo di un’italiana in Champions League (la massima competizione continentale) risale al 2010 con l’Inter di Mourinho. L’arrivo di nuovi capitali asiatici, come nel caso di Milan e Inter, ha portato tanta liquidità nel nostro campionato, ma gli aumenti di fatturato o le ricapitalizzazioni non sembrano aver sortito alcun effetto sulla salute del sistema calcio.

I fasti degli anni Ottanta e Novanta, quando i campioni sgomitavano per venire a giocare in Italia, restano un ricordo sbiadito. Il presente, invece, fotografa un mondo in crisi d’identità, macchiato dagli scandali e intristito da stadi sempre più vuoti. Solo per fare un esempio, in Serie A la media di spettatori per una partita è di 21.586, mentre in Inghilterra è di 36.179. In Germania è addirittura il doppio: 43.568 spettatori per gara. Il problema è che l’età media degli impianti italiani è di 64 anni, e quasi la metà dei 16 stadi della massima serie è stato inaugurato prima del 1949. Non stupisce, allora, che la scorsa stagione il numero complessivo dei biglietti rimasti invenduti nei nostri stadi, tra campionato e coppe, fosse di 8,4 milioni, rispetto agli 1,3 milioni della Bundesliga e agli 1,4 della Premier League inglese.

In compenso, da noi si continua a spendere tanto, a volte anche senza criterio. La nuova Inter gestita dalla proprietà cinese, ad esempio, ha speso in questo mercato 113 milioni di euro, ma non ha incassato praticamente nulla, rimanendo con un saldo negativo di 100 milioni. Tra gli esempi più virtuosi, neanche a dirlo, c’è la Juventus. Quest’estate la società della famiglia Agnelli ha speso 162 milioni di euro, ma ha avuto la fortuna di incassarne 100 in un solo colpo grazie alla cessione del francese Pogba al Manchester United. Inoltre, i bianconeri hanno strappato, a suon di milioni, i giocatori più forti alle dirette concorrenti per la lotta al titolo, indebolendo ulteriormente le proprie avversarie. Un mercato oculato lo ha fatto anche il Napoli di Aurelio De Laurentiis, che ha praticamente reinvestito sul mercato tutti i 90 milioni ricevuti dalla Juventus per l’attaccante argentino Higuain.

Adesso, dopo mesi di trattative, si attende la risposta del campo, malgrado gli esperti considerino i bianconeri ancora strafavoriti per la vittoria finale. Chi non è riuscito a rinforzarsi come voleva, non si preoccupi: a gennaio tornerà il cosiddetto mercato «di riparazione». E, per la gioia dei procuratori, ripartirà la giostra.