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Razzismo allo stadio, da un gesto a una cultura

Un gesto clamoroso e tante reazioni che fanno riflettere. Il gesto è quello del Milan, che si è rifiutato di continuare una partita con la Pro Patria, una squadra di Lega Pro, a Busto Arsizio, dopo che da un gruppo di sostenitori locali si sono levati diversi cori di tipo razzista. Gli insulti, annotano le cronache, sono partiti da un settore dello stadio occupato dagli ultrà bustocchi fin dall’inizio della partita: hanno preso di mira in particolare i giocatori milanisti Emanuelson, Muntari, Niang e Boateng. E proprio Boateng, innervosito, attorno al 30’ del primo tempo, all’ennesimo coro ha scagliato con rabbia il pallone contro la rete di recinzione all’indirizzo degli ultras della Pro Patria e subito dopo ha infilato la porta degli spogliatoi, seguito da tutta la squadra. Gli altoparlanti hanno poi annunciato la definitiva sospensione della partita e il Milan ha lasciato lo stadio. L’allenatore Massimiliano Allegri ha spiegato: “Avremmo voluto giocare con tranquillità, ma dopo quanto accaduto i ragazzi erano arrabbiati e non hanno più voluto tornare in campo”.

Molti plausi al gesto del Milan, che sottolinea la volontà di non arrendersi all’inciviltà spesso presente negli stadi. Non di rado, infatti – e non solo in Italia – si verificano episodi con insulti razzisti e in generale con toni e atteggiamenti intollerabili. Quasi ci si trovasse – negli stadi – in un luogo franco e alle tifoserie si lasciasse passare ogni nefandezza. Il gesto del Milan, di forte impatto, richiama un po’ tutti – a cominciare dalle società, ma anche gli stessi calciatori e ogni persona che segue lo sport – a fare la propria parte, per isolare quelli che sono normalmente una piccolissima parte delle tifoserie. Tifoserie che, in altre occasioni – è già successo – sono state anche in grado di zittire “in tempo reale”, con forti reazioni dagli spalti, quanti si lanciavano proprio in insulti razzisti e violenti.

Le molte reazioni positive al gesto del Milan mettono in evidenza la necessità di cambiare registro anche nelle partite e negli stadi più importanti – senza offesa per Busto Arsizio – in serie A, come nei match internazionali. “Siamo tutti stanchi, siamo tutti stufi. L’Italia deve crescere, e questo è il primo passo”, ha commentato il ct della nazionale, Cesare Prandelli. Il giocatore milanista Niang, tornando sull’uscita dal campo della sua squadra, ha rincarato la dose: “Siamo pronti a rifarlo in campionato e anche se dovessimo giocare contro il Barcellona o il Real Madrid”. E Michel Platini, dall’Uefa, ha spiegato che contro simili episodi di razzismo – “che continuano a verificarsi di tanto in tanto negli stadi europei” – si continuerà “a lottare senza tregua, insieme a quanti sono d’accordo con noi che la diversità è arricchimento, non già impoverimento”.

Come lottare? Severità negli stadi, “tolleranza zero” – come molti invocano – che vuol dire anche uscire dal campo e controlli accurati sugli ultras. Ma anche – e ieri lo ricordava con semplicità un giocatore del Varese, Giulio Ebagua, nigeriano naturalizzato italiano – con una seria opera educativa: “Il razzismo c’è sempre stato e temo che ci sarà sempre. Bisogna incidere sulla mentalità di certa gente, bisogna cominciare a scuola, educando i bambini”. L’annotazione non è banale e richiama la complessità che sta dietro il “gesto finale” dell’urlo scomposto allo stadio, l’intreccio di responsabilità che entrano in gioco per costruire non solo una tifoseria, ma una società migliore. Anche i campioni dello sport possono e devono fare la loro parte, perché i loro gesti e atteggiamenti, le loro parole hanno spesso un grande peso, valore di esempio. Questa volta, a Busto Arsizio, in positivo.