Museo diocesano d'arte sacra di Volterra
di Umberto Bavoni
Il Museo Diocesano di arte sacra ha sede in alcuni locali dell'antica canonica, oggi palazzo vescovile, con ingresso dall'attuale via Roma. Auspicato da Corrado Ricci ai primi del nostro secolo, fu costituito e aperto il 20 dicembre 1932 grazie al canonico Maurizio Cavallini, che curò la raccolta degli oggetti e la loro disposizione seguendo, per quanto possibile, un criterio scientifico.Fu danneggiato durante gli eventi bellici del 1944, quando particolarmente colpita fu la sezione dei paramenti sacri, molti dei quali andarono distrutti; fu riaperto al pubblico e completamente riordinato dalla Soprintendenza il 4 giugno 1956. Rimasto in questi ultimi anni chiuso per interventi strutturali e per dotarlo dei necessari impianti di allarme e antincendio, il Museo è stato riaperto al pubblico il 19 dicembre 1992. Vi sono esposte opere provenienti dalla Cattedrale e, in piccola parte, da chiese della Diocesi, ma il suo pregio maggiore è quello di conservare oltre ad altri dipinti, sculture in legno, fittili e paramenti sacri, le uniche sculture in marmo superstiti dei grandi monumenti trecenteschi eretti nella Cattedrale.
All'ingresso, sotto il loggiato, sono allineate tre colonne con basi e capitelli dell'XI secolo, appartenute alla distrutta chiesa di S. Salvatore.Sopra la porta, nell'interno, busto in tufo raffigurante San Giusto, che insieme a quello di San Clemente, oggi scomparso, coronava la parte superiore della facciata della chiesa abbaziale di S. Salvatore. Furono entrambi scolpiti nel 1769 da Gian Maria Sandrini. Seguono, un'altra colonna con capitello, proveniente dalla Badia, un'acquasantiera in marmo dalla chiesa della Nera, con iscrizione D.DONATUS DE PALARIA. P, probabilmente ricavata da un cippo o da un capitello antico, e un pilastro commemorativo delle sante Attinia e Greciniana, in marmo con capitello e iscrizione del XVI secolo, proveniente dal cortile della Badia.
Lungo la prima rampa di scale, tre archetti ciechi in pietraforte dell'XI-XII secolo appartenuti alla primitiva chiesa dei SS. Giusto e Clemente. Sopra la porta che dà accesso al chiostro, stemma mediceo in legno intagliato: stava sopra l'organo della Cattedrale (XVI sec.).
Sopra il pianerottolo di questa seconda rampa di scale è posta l'architrave della chiesa di S. Lorenzo a Montalbano (X sec.), interessante per la rappresentazione del Cristo morto e risorto. Vi sono poi, uno stemma in alabastro del vescovo Adimari (1435-1440), una cornice marmorea a ovuli e croci ancorate dal Battistero e fregi di angeli e palmette, opera di Mino da Fiesole. Undici archetti trilobati e due colonne in marmo sono i pochi elementi rimasti dell'antico chiostro della Badia di S. Giusto; presentano i ritratti degli abati e angeli con iscrizioni gotiche e latine del XIV secolo.
La prima sala ospita i frammenti lignei rimasti della decorazione dei soffitti delle navate laterali del Duomo, smontati nel 1842. Le figure e gli intagli sono opera dello scultore Jacopo Paolini, che insieme all'architetto Francesco Caprini, realizzarono, sul finire del XVI secolo, il soffitto della Cattedrale.
L'infuenza pisana durante il Duecento, è manifestata nelle eleganti formelle del recinto presbiteriale e dell'antico altare maggiore del Duomo, sei delle quali qui collocate, insieme ai calchi delle altre otto, che sono sistemate a guisa di paliotto sotto il monumento dell'Incontri.
Il leggio intarsiato del coro della Cattedrale, con motivi di arabesco con centauro in labirinto e arabeschi con croce pluricerchiata, è opera di Andreoccio di Bartolomeo e Antonio da Siena (fine XIV sec.); la banderuola ruotante portalampada in ferro battuto fu eseguita da Enrico Tedesco nel 1404.
I più importanti e noti marmi trecenteschi sono le sette formelle rettangolari a rilievo che illustrano Episodi della vita dei santi Ottaviano e Vittore. Quattro storie raffigurano il Processo e martirio di S.Vittore, la cui testa, donata dall'arcivescovo di Milano, Gordiano, a papa Callisto II, fu da questi a sua volta donata a Volterra il 20 maggio 1120, in occasione del suo soggiorno per la consacrazione della Cattedrale. I rilievi raffigurano: San Vittore portato davanti al pretore Massimiano, la Flagellazione del Santo, la sua Decapitazione e il quarto Il suo corpo, che vigilato dai leoni che non lo divorano, viene raccolto dall'arcivescovo di Milano. Le altre tre formelle raffigurano episodi legati alla storia di Sant'Ottaviano e rappresentano il Miracolo della pioggia, l'Elemosina ai poveri e le Guarigioni ottenute per contatto della tunica. Venturi fu il primo a porre i sette rilievi in relazione con il cenotafio Tarlati di Arezzo attribuendoli pertanto ad Agostino di Giovanni ed Agnolo di Ventura. Oggi Carli ed altri non escludono la presenza di Giovanni d'Agostino e di un quarto anonimo maestro.
I marmi più antichi sono i quattro medaglioni circolari raffiguranti i busti dei santi Giusto, Clemente, Ottaviano e Vittore, eseguiti a bassorilievo, dei quali si vuole autore il grande Tino da Camaino.
Non v'è dubbio sulla provenienza sepolcrale dei quattro angeli reggicortina, rientranti nella più diffusa consuetudine iconografica trecentesca e da assegnare alla maestranze senesi sopra ricordate.
Il sarcofago romano, databile ai primi secoli dopo Cristo, segna il più procace caso di riuso essendo stato impiegato come sepolcro del vescovo Goffredo l'anno 1037. La lastra tombale, che ritrae il cavaliere Michele Bonaguidi di Volterra, fu eseguita nel 1378 e proviene dalla chiesa di S. Francesco.
Sopra l'architrave della porta, che dà accesso alla seconda sala, vi sono tre stemmi a colore: due, con un cane bianco rampante, appartengono alla famiglia Verani, quello al centro, con albero e lupo passante, proviene dal soffitto sopra la cappella Parissi in Cattedrale.
Le due statue lignee con poche tracce di policromia, raffiguranti la Madonna e l'Arcangelo Gabriele, sono del secolo XIV e provengono da Toiano.Oltre la vetrata si apre al visitatore una graziosa loggetta dalla quale si può ammirare il chiostro del vescovado e parte della fabbrica del Duomo e del palazzo dei Priori. Sono esposte due mensole di legno intagliate dell'XI secolo, provenienti dalla chiesa abbaziale di S. Salvatore, frammenti di mensole marmoree, forse del coronamento dei recinti presbiteriali o dall'antico coro del Duomo (XII sec.), un capitello in marmo con tre piccole maschere umane, un animale acefalo e la parola MORTE (VIII-IX sec.) e un'arco a conci decorati, dal portale della pieve della Nera (XII sec.).
Appena varcata la porta che introduce nella seconda sala, a sinistra, è appesa alla parete la tavola della Madonna col Bambino, proveniente dalla chiesa di S. Lorenzo a Mazzolla, attribuita al pittore senese Niccolò di Segna (notizie dal 1331 al 1345).
Sopra una base di mattoni è collocata la Madonna col Bambino e due angeli, in piedi, che presentano due committenti inginocchiati, fortemente caratterizzati nella loro fisionomia; si dicono opera di Giovanni d'Agostino. Proviene invece dal portale della chiesa di S. Michele, l'altra Madonna seduta col Bambino, che conferma quanto sia stata intensa l'attività degli scultori senesi a Volterra, durante la prima metà del Trecento.
Da un'antica porta laterale del Duomo, (dove oggi sorge la cappella della Misericordia) proviene la lunetta dell'XI secolo e l'architrave di marmo con raffigurazione di un cervo aggredito da due grifoni e motivi vegetali, databile alla fine del I secolo a.C. Al di sotto è collocata l'antica porta di legno della sacrestia, intarsiata, che porta il segno della Fabbriceria con la parola OPA (XIV sec.).
Il busto in terracotta invetriata, rappresentante San Lino Papa, è attribuito a Giovanni della Robbia o a Benedetto Buglioni. Nello stesso anno della Deposizione (1521) il Rosso Fiorentino dipinse la pala raffigurante la Madonna e il Bambino tra i santi Giovanni Battista (titolare della chiesa) e Bartolomeo, per la pieve di Villamagna nei dintorni di Volterra, esposta in questa sala. La composizione è forse copiata dalla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto. Bellissima la figura del Santo titolare, ritratto secondo i canoni della statuaria classica antica, mentre nel San Bartolomeo si percepisce, soprattutto nel volto, un sottile ed inquietante fascino. La Vergine, dallo sguardo astratto e lontano, è pervasa da mestizia che si accentua nel contrasto con la vivacità del Bambino.Sul pilastro, finestrella quadrangolare, con pittura a fuoco su vetro, del XVI secolo. È ritratto forse Sant'Agostino che mostra un cuore segnato dal monogramma di Cristo.
Nella vetrina in alto, Testa reliquiario di San Vittore, in argento sbalzato, cesellato e smaltato. Capostipite di tutta la produzione dei busti reliquiari della Sacrestia del Duomo, fu donata con il teschio del Santo da papa Callisto II nel 1120. Gli storici narrano che anche questa testa fu preda dei soldati del Ferrucci, nel 1530, e che fu riscattata con offerte popolari prontamente reperite e consegnate ai soldati prima della sua distruzione. La testa è rappresentata da un volto, non caratterizzato, con gli occhi a mandorla e le pupille di smalto azzurro, mentre notevole risulta il trattamento minuzioso della capigliatura mossa e ondulata, di grande effetto decorativo, sulla quale si vedono tracce dell'antica doratura. Anche se non tutta la critica è favorevole all'accettazione di questa testa come opera del XII secolo, a mio parere si colloca dignitosamente come esecuzione di alto artigianato artistico o di produzione francese o tedesca di quel periodo.
Nel piano della vetrina sottostante è collocato un cofanetto reliquiario, in bronzo dorato, con finiture a cesello e bulino. Il cofanetto fu donato alla Cattedrale il 9 novembre 1575, come ci ricorda il libro degli inventari delle suppellettili del Duomo fatto nell'anno 1616, dove lo troviamo così descritto: Una cassetta di rame dorata con smalti, e pietre false, con un crocifisso e due figurine di rilievo, cioè S. Giovanni e una Madonna entrovì una testina de' SS. Innocenti, con una ghirlanda di perle, nella quale si son messe tre chiavi d'argento, et una piccina di detta cassetta dorata e tre altre chiavicine di più sorte, la detta cassetta con detta reliquia, la mandò a donare il Reverendissimo Mons. Lodovico Antinori già Vescovo di Volterra il 9 novembre 1575 et a esso Mons. fu donata detta testina dall'Imperatrice. La notizia riportata dall'inventario ricorderebbe, come donatrice della reliquia al vescovo Antinori, l'imperatrice d'Austria, paese dove il presule si era recato ambasciatore per conto di Cosimo de' Medici, nel corso del 1568. L'oggetto, di elevata fattura, nato forse come scrigno per contenere le oreficerie di qualche nobildonna, e attribuito dagli storici locali a Benvenuto Cellini, viene oggi proposto, con grande fondatezza e ricerca di indagine, da Antonella Capitanio, al grande orafo tedesco Wenzel Jamnitzer (1508-1585).
Sul fondo della vetrina, un calice di rame dorato di forma gotica, proveniente da Pillo (XV sec.), con ornati a smalto, sei figure nel nodo e sotto il piede la scritta: NICCOLO E FILIPPO LARINI 1616. L'altro calice, in rame dorato, con sei smalti nel nodo raffiguranti tre santi e due stemmi, è del XV secolo.In alto a destra della stessa vetrina, sono esposte quattro tavolette con i santi Pietro e Paolo e l'Annunciazione: è tutto ciò che rimane di un grazioso tabernacolo a sportelli, trafugato la notte di Natale del 1984. Variamente attribuito al Signorelli, al Maestro dei Putti bizzarri e al pittore Bartolomeo della Gatta, monaco camaldolese, il tabernacolo è da tutti ritenuto dell'ultimo quarto del XV secolo.
Sul fondo della vetrina un turibolo di rame traforato, del XV secolo, e un ostensorio medioevale a cuspide, con foglie e lunetta interna, pressoché nascosta dal traforo floreale; si tratta di un oggetto del XIV secolo, proveniente dalla Cattedrale, interessantissimo sia dal punto di vista artistico, che liturgico.Nell'altra vetrina a giorno, in alto, è collocata la croce in argento, del XV secolo, a doppia faccia con leggiadrissimi disegni niellati a cesello e smalti, foglie e ghiande ai margini e dodici figure smaltate entro formelle quadrilobate. Attribuita all'orafo Antonio del Pollaiolo, la croce fu donata alla Sacrestia da monsignor Mario Maffei, vescovo di Cavaillon, il 15 agosto 1535, per reindennizzare la Cattedrale della perdita di una croce simile, regalata alla Sacrestia dal sacerdote Bartolomeo Belladonna il 14 agosto 1523 e rapita dal Ferrucci nel 1530.
A destra è il Busto reliquiario di Sant'Ottaviano, in argento sbalzato e cesellato, con busto di rame dorato. L'originale, commissionato dal vescovo Ugolino de' Giugni all'orafo fiorentino Antonio del Pollaiolo, che lo consegnò nel 1470, fu il primo reliquiario di questa tipologia realizzato per la Cattedrale di Volterra. Il busto, che conteneva il capo del Santo, è così descritto nel primo inventario del Duomo, forse del 1525: Una testa di Sancto Ottaviano testa et barba dargento tutto il resto di rame dorato diadema di rame dorato con basa di legno dorata et smaltata. Il busto, sottratto alla rapacità dei soldati di Federigo d'Urbino nel sacco del 1472, non sfuggì, invece, secondo quanto narrano gli storici, alle razzie fatte da Francesco Ferrucci nel 1530, con la testa in argento che forse sarebbe stata fusa per far moneta per pagare i mercenari. Quattro anni dopo i fatti del Ferrucci, nel 1534, i Priori del Comune presentarono alla Sacrestia, grazie alle elemosine raccolte, un nuovo busto reliquiario di Sant'Ottaviano, quello che è attualmente esposto. È possibile che il Comune di Volterra abbia fatto eseguire di nuovo la testa in argento, forse da un orafo fiorentino, per poi inserirla sopra l'antico busto di rame dorato eseguito dal Pollaiolo.
Sul fondo della vetrina troviamo, a sinistra, un reliquiario di bronzo e rame dorato del XVI secolo. Il reliquiario, simile nella teca quadrangolare all'altro posto a destra della stessa vetrina, se ne differenzia nella qualità e si può classificare ad un livello di esecuzione più semplice e modesta. Il piede tondo e liscio, tipico di molti calici e ostensori realizzati sulla fine del XVI secolo, si presenta all'insegna della semplicità e della sobrietà.Al centro della vetrina, ostensorio di rame sbalzato, cesellato e dorato, fatto eseguire nel 1538 dalla Sacrestia della Cattedrale e dal Pubblico di Volterra a una bottega orafa fiorentina, per essere impiegato nella processione del Corpus Domini. L'iscrizione, che gira alla base della cupola e al di sotto della teca, ci conferma questo suo impiego: Ego sum panis vivus qui de celo discendit IC + XC 1538 - accipite et comedite hoc est corpus meum verum. La committenza dell'oggetto viene espressa sulla base dove si vedono i due stemmi, quello della Comunità di Volterra (rappresentato dal grifone che lotta con la biscia) e quello della Sacrestia (espresso con le iniziali S.A.).
Segue un reliquiario di bronzo e rame dorato, di manifattura fiorentina della metà del XVI secolo, donato alla Cattedrale di Volterra dal cavaliere Aurato Paolo Maffei. Lo troviamo descritto in un inventario della Cattedrale, forse del 1567, con queste parole: Uno reliquiario di rame dorato nel piede l'Arme de Maffei dentrovi reliquie di più Santi et due anella d'oro in uno dentrovi un'sephiro et nell'altro uno smaragdo, donati dal Capitulo quali si trovorno in nella sepoltura di Santo Ugo nel mese d'aprile 1540, il detto reliquiario donò Messer Paulo Maffeo. Il reliquiario è composto da una teca quadrangolare, a sua volta suddivisa in nove riquadri per ospitare le reliquie. Sopra i lati esterni, delle volute affrontate si legano, ai lati verticali, ad un anello reso di forma tubolare vuoto con castone, mentre nel lato superiore le volute affrontate fanno da base ad un occhio di cristallo. La base polilobata risente del gusto dell'arte trecentesca con bellissime decorazioni fitomorfe. A smalto opaco su argento è realizzata l'arme della famiglia Maffei di Volterra, consistente in un mezzo cervo rampante in campo azzurro con attorno la scritta: Pauli Mafei Equitis Munus.
Sulla parete vicino alla porta che dà accesso a questa sala è appeso il Crocifisso dipinto, su tavola sagomata a forma di croce, con resti dei tabelloni, anch'essi figurati, di cui rimangono immagini frammentarie, opera attribuita alla scuola di Giunta pisano (metà XIII sec.). Proviene dal monastero di S. Maria della Marca, di Castelfiorentino, ed è proprietà di quelle reverendissime monache.Poco sopra, parte centrale di polittico con la Madonna seduta sopra un trono con il Bambino sulle ginocchia e due angeli. Il polittico, commissionato per la cappella di S. Frediano nella chiesa - oggi diruta - di S. Giusto al Botro, viene concordemente ritenuto opera di Neri di Bicci (1419-1491).
A fianco, Madonna col Bambino, parte centrale di polittico, attribuito a Taddeo di Bartolo, immagine che si venerava nell'oratorio rurale di Venzano. Ritornati verso la finestra, al di sopra della vetrina è posta la tavola Madonna con il Bambino e i santi Pietro e Paolo, opera di Daniele Ricciarelli da Volterra. Datata 1547, fu realizzata per la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Ulignano, presso Volterra. In primo piano le figure dei due santi si impongono nella loro imponenza michelangiolesca, mentre al centro, sopra una base architettonica identica a quella progettata da Michelangelo per il Campidoglio, si erge la Madonna, definita da Chiarini: Maestosa Giunone attica calata nella liturgia cattolica.
Nella vetrina, in alto, croce in metallo con inserite lamine di argento del XV secolo e una croce processionale, in bronzo dorato, a doppia faccia, con alle estremità formelle quadrilobate (XV sec., proveniente da Montaione): nel verso gli Evangelisti mentre tutto il campo della croce è decorato da un bellissimo motivo fitomorfo reso ad incisione, sopra l'Eterno Padre e in basso San Paolo. Ai piedi del Crocifisso si legge: CRUX - PLEBIS - STI. REGHULII. MONTAIONE - TPRI + P + DNI - NICHOLAI - DEBADOVINETIS - PLEBANI - ANO - MCCCCLVIII.
Un'altra croce in rame, con tracce di doratura, ha incise alle estremità del traverso la Madonna e San Giovanni e, in alto, un pellicano; il Cristo a rilievo sembra non pertinente.Nel piano sottostante, sei navicelle in ottone del XVIII-XIX secolo, due in rame, una con motivi geometrici impressi e l'altra, con motivi floreali del XIV secolo. Sul fondo tre grandi piatti in ottone, detti elemosinieri, con decorazioni a rilievo sbalzate e uno con iscrizione IHS. XPS UND MARIA HILF - DER INFRID SCHWART (XIV-XV sec.). Nel piano superiore, croce in ottone con ai lati, in placchette traforate, i Simboli degli Evangelisti, assai stilizzati; una boccia in argento con bellissime decorazioni a foglie sbalzate e cesellate, che veniva posta nella parte superiore dell'asta, forse per potervi inserire la croce di argento attribuita al Pollaiolo in occasione di feste o processioni solenni (XVI sec.); una piccola croce processionale, in rame dorato e smaltato, con alle estremità la Madonna e San Giovanni e sul dietro i Simboli degli Evangelisti, bellissimo esemplare di artigianato toscano del XV secolo, ma in deplorabile stato di conservazione. E ancora, due paci di legno, con pittura su vetro, rappresentanti il Cristo emerge dal sepolcro, di artigianato locale del XVI-XVII secolo, una pace in argento sbalzato e cesellato, e smalto traslucido, con sul retro l'iscrizione SMIRALDA LISCIA DE CONTUGIIS MDXXXXV e l'arme Contugi e Lisci di Volterra: presenta il Cristo emergente dal sepolcro secondo la classica iconografia toscana del Cinquecento e la rappresentazione del maligno, con le ali di pipistrello, posta sotto il Cristo.
Seguono alcune croci. La prima, di rame dorato con il Cristo a rilievo, realizzato con gli occhi aperti nell'aspetto del Cristo triumphans. La croce, bellissimo esemplare di produzione toscana del XII secolo, presenta finemente incise le figure della Madonna, San Giovanni, Cristo benedicente e in basso il Cristo posto nel sepolcro. Sul retro, reso ad incisione, la figura del Cristo morto appeso alla croce e i simboli dei quattro Evangelisti, con ricche tracce dell'antica doratura. Altra croce di rame dorato, con le estremità lobate entro le quali sono raffigurate le immagini della Madonna, San Giovanni, il pellicano in alto e in basso un Santo non identificato, realizzate con ottima incisione. Il retro risulta finemente decorato da motivi fitomorfi incisi e al centro il monogramma di Cristo. Sul fondo è scritto: FRUCT - OP - E - S - HYP - ET - CAS - F - D - PIRIS - R - FAC - CUR - MDXV. Infine, una croce in legno segata, con rappresentazione del Cristo dipinto su entrambe le facce, di artista senese del XV secolo.
Sul fondo della vetrina, immagine della Madonna in piedi col Bambino, stucco policromo del XIV secolo.
Sul piano in alto, serie di oggetti in cuoio: una scatola per ostie, una custodia per calice (XVIII sec.), un'altra custodia con impresso a oro lo stemma Inghirami, dono del vescovo di Arezzo mons. Iacopo Gaetano Inghirami e altre due custodie, una per calice (XVI sec.) e una per pisside (XVIII sec.). Vi è poi un calice in argento sbalzato con i Simboli della passione e teste di cherubini; sul piede entro tre cornici si vedono incisi lo stemma Inghirami, San Giusto e San Gerolamo (XVIII sec.).
Sul piano di mezzo vi sono, un campanello di argento e altri due di metallo argentato, una preziosa mitria, donata alla Sacrestia dal vescovo Incontri e una custodia in cuoio per mitria, con stemma del vescovo Guido Serguidi (1574-1598). Sul fondo della vetrina: campanello in bronzo con doppia iscrizione consunta, due tipici lavabi, uno in rame e uno in ottone (XVII-XVIII sec.), una campana con iscrizione consunta e un messale francescano ad uso dei Frati Minori, edito a Venezia 1759, coperto di velluto rosso con decorazioni applicate in argento sbalzato e con raffigurato, al centro del piatto anteriore, San Francesco e, di quello posteriore, San Gerolamo.
Passata la porta, nella terza sala a sinistra, nella vetrina si osservano tre brocchette di tipo moresco in ottone, provenienti da Gambassi (XVI sec.), un mesci in ottone e uno di forma uguale in ceramica (XVII-XVIII sec.), un turibolo in bronzo traforato, due ampolline in vetro da Montecatini, una croce di Lorena, del XVIII secolo, dono di padre Luigi Consortini, un formale in argento sbalzato, con pietre incastonate (XVII sec.), due vasetti in argento per gli olii santi (XVII sec.) e uno sportello di ciborio in rame dorato, con un Cristo inciso.
Sul fondo vetrina: vassoio in maiolica con motivi floreali sul bordo (XVIII sec.), un cratere a campana in maiolica, con sul fondo motivo di un veliero (XVII sec.), un piccolo bacile con decorazione centrale, di prospetto di abitazione e motivi floreali sul bordo, e un vasetto di terracotta invetriato, sigillato con lamina di piombo, contenente alcune reliquie, ritrovato dentro all'altare della cappella della Deposizione in Cattedrale. Al centro della vetrina il Crocifisso di bronzo dorato, eseguito dal Giambologna, per la cappella di S. Paolo in Cattedrale, e un fronte di tabernacolo di legno intagliato e dorato (XVI sec.).
In alto, un secchiello di bronzo per acquasanta con aspersorio (XVI-XVII sec.), tre punzoni per bolle vescovili di mons. Albizi (1655-1676), Del Rosso (1681-1714) e Pandolfi (1715-1746), una scatola per gli olii santi, in argento battuto e dorato, donata dal vescovo di Volterra mons. Ludovico Antinori, che la fece realizzare l'anno 1571. E, ancora, una custodia originale in legno rivestito di cuoio impresso, con motivi di volute e ghirlande, un mesci in bronzo argentato (XVIII sec.), un secchiello per acqua santa in bronzo, assai deteriorato. Sotto il piano sono appesi due secchielli per acquasanta in bronzo (XVII sec).
Sul piano di mezzo troviamo un messale episcopale per il conferimento dei sacri ordini, edito a Venezia nel 1613, con veste di cuoio bulinato e due campanelli, uno privo di manico, realizzato a fusione con ricche decorazioni, e uno più piccolo, di bronzo. Vi sono, poi, un secchiello in bronzo con aspersorio (XVII sec.), un formale di rame dorato con al centro l'immagine dell'Assunta, eseguita a sbalzo con pietre incastonate (XVI sec.), una navicella in bronzo dorato e sbalzato (XVII sec.) e un piattino in ottone, con motivo floreale reso a sbalzo (XVIII sec.).
Sul fondo vetrina, un piatto in maiolica con al centro lo stemma del Santissimo Nome di Gesù e sul dietro la data 1658, un turibolo a sfera traforata in bronzo, forse del XIII secolo, un coperchio di fonte battesimale in ceramica ingobbiata e invetriata con iscrizione QUI CREDIDERIT ET BAPTIZZATUS FUERIT SALVUS ERIT, e due turiboli eseguiti uno in ottone e l'altro in bronzo. Nella vetrina a destra, dopo la finestra, sul primo pianetto è posto un calice di argento sbalzato e cesellato con rappresentazioni di teste di cherubini e Simboli della passione e, sotto la coppa, tre stemmi della famiglia Guarnacci (XVIII sec.).
Sul fondo vetrina, un messale coperto in velluto celeste, ricoperto di lamine d'argento, con sul davanti un Santo vescovo e sul piatto di destra lo stemma del vescovo di Volterra mons. Sfondrati (1677) e una veste in cuoio dorato e bulinato su assi di legno, con chiusura in argento, del XVII secolo.
Nell'altra vetrina a destra: calice in argento sbalzato e cesellato, decorato da foglie di acanto con sul piede tre cornici cuoriformi e dentro ad una la data 1686 incisa; calice di argento dorato e sbalzato e cesellato con testa di cherubini e Simboli della passione e la coppa arricchita con foglie e grappoli di uva (XVIII sec.); calice di rame dorato, attribuito alla bottega francese degli orafi André Chasteau e Antoine Crochet (fine del XVI sec.), con base sbalzata, gradino fuso e saldato, finitura a cesello e coppa in argento; sulla base Ecce homo, la Salita al Calvario, la Crocefissione e nel sottocoppa, l'Ultima cena, la Flagellazione e Cristo deriso.
Vi sono inoltre un calice di argento cesellato e sbalzato con cherubini e motivi floreali e sul piede la scritta Ad usum ILL E RMI CA N. GALGANETTI, e tracce di iscrizione precedente a quella ora leggibile (XVIII sec.) e un calice vermeil, (XVIII sec.), dono di mons. Carlo Filippo Incontri, vescovo di Arezzo, con rappresentazione nel sottocoppa di San Giusto, San Lino e l'Assunta, nel nodo, un'aquila, un pellicano e un agnello, e sul piede Fede, Speranza e Carità. Sotto il piede è inciso lo stemma della famiglia Incontri di Volterra.
Un altro calice di argento e argento dorato, lavorato a sbalzo e cesello, è un regalo di Pio IX dopo la sua visita a Volterra, nel 1857; ha il nodo realizzato a tempietto circolare con dentro un angelo, sul piede teste di cherubini e festoni con tre figure di rilievo e nel sottocoppa l'Ultima cena.
Sopra il secondo pianetto il Reliquiario della Santa Croce, accompagnato da due candelabri di argento da mensa. Si presenta nella parte inferiore formato da un piede ricavato da un tipico candeliere da mensa di argento del XVII secolo, sul quale non è perfettamente appoggiata la base di agata dove siede la figura di un angelo a tutto tondo che sorregge con la mano sinistra gli Strumenti della passione. La destra, alzata, sembra voler reggere la grande mostra, finemente eseguita a filigrana con motivi fitomorfi, con al centro la teca di cristallo con la reliquia della Croce, racchiusa tra due cristalli legati anch'essi da una fine decorazione di filigrana. La reliquia veniva esposta sopra l'altar maggiore della Cattedrale il Venerdì Santo. È presente il bollo, con mezza luna, dell'argentiere romano Domenico De' Rossi (fine del XVII sec.). Troviamo, poi, un calice di argento lavorato a sbalzo e a cesello, eseguito all'insegna della semplicità e al tempo stesso sobrio nelle eleganti baccellature, oggetto uscito da una bottega orafa fiorentina della fine del XVI secolo; un calice in argento sbalzato e cesellato con rappresentazioni dei Simboli della Passione e teste di cherubini (XVIII sec.); un messale ricoperto di velluto rosso e decorato da lamine di argento sbalzato e cesellato con, sul piatto anteriore, al centro, l'Assunta e su quello posteriore San Francesco, dono di mons. Luigi Buonamici, come ricordano gli stemmi incisi e posti sotto le figure (seconda metà del XVIII sec.).
E, ancora, una pisside di argento sbalzato e cesellato, con sul coperchio motivi floreali, sul piede cornice di perle allungate e sotto il piede la scritta AD MAIOREM DEI GLORIAM, eseguita attraverso una serie di puntini da una mano non esperta (XVIII sec.); una statuetta in alabastro rappresentante San Giovanni Battista, poggiata sopra una base finemente lavorata e, al centro, in altissimo rilievo e in dimensioni miniaturistiche, il Battesimo di Gesù, ottimo esemplare di artigianato locale del XVIII secolo.
Sul fondo vetrina: serie completa di carteglorie ricoperte di lamine in argento con preghiere a stampa, decorate da ornamenti policromi, donate da mons. Jacopo Gaetano Inghirami, vescovo di Arezzo, l'11 ottobre 1767, con sulla base lo stemma Inghirami; quattro candelabri da mensa in argento sbalzato e cesellato (XVIII sec.); una serie completa di carteglorie con cornice in lamina di argento sbalzato e cesellato, con al centro lo stemma di San Bernardino, preghiere manoscritte su pergamena e decorazioni policrome (XVIII sec.); una statuetta in legno dorata della Madonna del Rosario (XVIII sec.); scarpe e guanti in seta ricamata ad oro del vescovo Buonamici (XVIII sec.); una croce da altare in ebano con il Cristo in argento (XVIII sec.); un messale coperto di velluto rosso, adornato di lamine di argento, con al centro stemma francescano e sul retro sigla del SS. Nome di Gesù (prima metà del XVIII sec.); una mazza processionale con nella parte superiore una Madonna Assunta, realizzata ad intaglio (XVIII sec.).
Nel secondo pianetto: statuetta in legno intagliato e dorato rappresentante la Madonna con il Bambino (prima metà del XVIII sec.), piccola pisside in ottone con decorazioni fitomorfe e Simboli della passione (XVII sec.), palmatoria in argento sbalzato e cesellato (XVIII sec.) e aspersorio in bronzo argentato (XVIII sec.).
In alto, sopra il primo pianetto, sono disposti un servizio composto da brocca, campanello, ampolla con piattino, palmatoria, tutti di argento siglato M.F.B (mons. Ferdinando Baldanzi) e pace in bronzo, con stemma Incontri inciso sul dietro e sopra il manico la sigla M.F.B (prima metà del XIX sec.); due ampolle con piattino vermeil, simili alle precedenti, donate dal cavaliere Abate Giuseppe Fabbrini, con stemma inciso sul piatto.
Al centro della vetrina è appesa una lampada ad olio, traforata, di metallo argentato, sorretta da tre catenelle (XVII sec.). Al centro della sala è collocato il quadro processionale dipinto, a doppia faccia, con l'immagine della Pietà e della Madonna col Bambino e i santi Rocco e Sebastiano, proveniente dalla chiesa di Casale Marittimo. Sul fondo della pittura, il nome dell'autore: Giovan Maria Tacci da Piombino dipinse a dì 30 di Giugno 1570. A fianco è esposto il ciborio di alabastro, eseguito l'anno 1574 per la chiesa di S. Andrea di Volterra, che ci testimonia, insieme all'acquasantiera, datata 1567, la rinascita, dopo la pausa medioevale, delle botteghe alabastrine che da allora, con alterne vicende, hanno creato splendidi oggetti fino ai giorni nostri.
Sopra la vetrina, la tavola proveniente dalla chiesa rurale di S. Cipriano, rappresentante la Madonna in trono col Bambino e ai lati i santi Cornelio e Cipriano, opera attribuita alla scuola fiorentina del XV secolo. In epoca imprecisata, forse sul finire del Cinquecento, furono aggiunti i santi Romualdo, Andrea Zoerardo, Bonifacio e Macario, legati alla presenza dei monaci Camaldolesi della Badia di S. Giusto, che erano parroci di quella chiesa.
Varcato l'arco che divide questa sala dall'ultima, il visitatore si trova di fronte ad un insieme di parati liturgici diversi per tipo e per epoca e collocati qui provvisoriamente in attesa dei parati originali, trasferiti attualmente presso la Soprintendenza per curarne il restauro.
Al centro si osservano una serie di libri corali, che servivano per il servizio liturgico dei Canonici del Duomo di Volterra. I primi due a sinistra, sono antifonari diurni compilati nel 1299. Una memoria scritta nel secondo codice dice: Sicut naviganti dulcis est portus ita scriptori ultimus versus. Scriptor huius libri ordinis Sancti Augustini frater Augustinus Sancti Geminiani vocatus; hoc namque diurnum manu propria conscripsit totum. Laudes solvamus in hoc Domino cum jubilamus. Anno Domini mcclxxxxix, ultima die mensis februarii exspletum fuit hoc antiphonarium, quod est maimoris ecclesie vulterrane. Lo scriba del codice è dunque frate Agostino, di origine sangimignanese, un agostiniano probabilmente dell'omonimo convento di Volterra. L'antifonario è stato fatto per la Cattedrale come ricorda l'iscrizione e conferma si ha dall'esame del contenuto, a cominciare dalla messa per Sant'Ottaviano, patrono della città.
I sei restanti antifonari, che raccolgono i canti dell'officio dell'intero anno liturgico, furono donati alla Cattedrale dal proposto Antonio Zeno, tre nel 1508, dedicandoli al vescovo di Volterra Francesco Soderini, poi cardinale, e gli altri tre nel 1510, offrendoli al nipote Giuliano Soderini. Furono eseguiti certamente da una bottega miniatoria fiorentina, operante tra la fine del XV secolo e gli inizi del successivo. Silvia Bonamici ha ritenuto di attribuire i sei corali alla bottega dei fratelli Gherardo e Mone di Giovanni.
A destra, sopra la vetrina, tavola con l'Annunciazione e i santi Michele e Caterina d'Alessandria, eseguita nel 1466 dal pittore senese Benvenuto di Giovanni, per la chiesa di S. Girolamo. Al centro dell'altra vetrina, Madonna col Bambino e i santi Lorenzo, Antonio da Padova, Girolamo, Francesco, Cosma e Damiano, attribuita al pittore fiorentino Domenico di Michelino. Sopra la vetrina, accanto alla finestra, vi sono due piccole tavole con i santi Mario e Vittore, che stavano esposte nella Cattedrale e sono state attribuite, con ragione, al pittore Cosimo Daddi, che realizzò numerosi dipinti tra la fine del XVI secolo e gli inizi del seguente, sia per la città che per i dintorni.
Sopra l'altra vetrina è posta una tavola rappresentante l'Annunciazione, già nella chiesetta del Palagione, di autore ignoto del XVIII secolo.
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ORARIO: dal 16 marzo al 2 novembre: feriali e festivi 9-13 e 15-18; dal 3 novembre al 15 marzo: 9-13
INGRESSO: L. 12.000 (cumulativo con Museo Etrusco "Guarnacci", Pinacoteca civica e Teatro Romano); gruppi (min. 20 unità), ultra60enni e studenti L. 8.000; comitive scolastiche L. 5.000 (gratis insegnanti); globale famiglia (max 4 persone) L. 25.000
INFORMAZIONI: tel. 0588/86290
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