Toscana

A Careggi si cura e si studia quello che lascia il Covid

Spesso si parla dei sintomi durante il contagio e, poi, della malattia nella fase acuta. Molto meno di ciò che resta. Perché il Covid – in alcuni casi, soprattutto i più gravi – può lasciare degli strascichi. Tra gli «esiti» – come si dice in terminologia medica – più frequenti la stanchezza, la difficoltà respiratoria, il facile affaticamento. C’è una struttura ospedaliera che fin dalla prima ondata ha deciso di seguire i pazienti anche dopo il ricovero per Covid con un percorso d’assistenza strutturato. È l’ospedale di Careggi, il più grande della Toscana. E si tratta di un lavoro davvero unico, per consistenza di numeri, a livello italiano.

Il coordinamento di questo programma è stato affidato al professor Francesco Fattirolli, direttore della struttura organizzativa dipartimentale di riabilitazione cardiologica. «È un lavoro – ci spiega il cardiologo – che è nato assistenziale e sarà rilevante anche dal punto della ricerca scientifica. Questo virus ci ha preso di sorpresa, non lo conoscevamo. Anche grazie a questo programma le nostre conoscenze si ampliano». È infatti utile al cittadino sapere come sta dopo aver superato la fase acuta dell’infezione ma è importante per la scienza approfondire proprio ciò che succede dopo. Perché occorre difenderci per non essere braccati dal virus e restare senza vie di fuga.

Il percorso è iniziato, di fatto, immediatamente. Fin dal primo paziente che è stato dimesso all’inizio del marzo scorso. E prosegue anche in questi giorni nei quali la seconda ondata sta impegnando a fondo i reparti ospedalieri. I malati di Covid dimessi da Careggi sono oltre 750. La gran parte sono stati contattati per partecipare a questo programma che prevede, prima di tutto, un’intervista telefonica a un mese dalle dimissioni. Quasi quattrocento hanno risposto positivamente. La maggior parte di questi hanno un’età compresa tra i 50 e i 90 anni. Oltre il 30% di loro ha avuto anche i familiari contagiati (in particolare il coniuge nel 57% dei casi). Sono anche persone che avevano preesistenti patologie: il 33% l’ipertensione arteriosa, il 21% cardiopatie varie, il 14% il diabete. E, nonostante questo, hanno superato la fase acuta.

Il questionario comprende 45 domande. «Tra queste – sottolinea Fattirolli – ce ne sono alcune che attivano una “red flag”, un’allerta: se l’infermiere specializzato che svolge l’intervista riscontra alcune di queste si attiva subito una segnalazione a uno dei medici che può predisporre una visita immediata del paziente per verificare le condizioni». Se invece la situazione è sotto controllo, il programma prevede di ricontattare la persona a tre mesi dalle dimissioni. A questo punto si attiva, oltre a un contatto telefonico, la vera e propria visita in ospedale. «Per facilitare il paziente – spiega il medico – concentriamo in un solo giorno un check up completo della persona che comprende: visita infettivologica, cardiologica, pneumologica, con esami strumentali (ecg, ecografia del cuore e del torace, spirometria, radiografia al torace) e di laboratorio con prelievo del sangue. C’è anche una valutazione di tipo psicologico, e geriatrico per gli anziani». Nel caso che la situazione sia buona, si procede a un nuovo controllo a sei mesi dalle dimissioni. Se invece emerge un problema, si procede subito a una valutazione di secondo livello più approfondita che può prevedere la Tac al torace, la scintigrafia polmonare, la risonanza magnetica cardiaca. Insomma, il paziente è seguito davvero con la massima attenzione nel suo percorso di guarigione.

Un impegno notevole per i medici e il personale infermieristico che, da maggio scorso, dedicano tutti i sabati a questo programma. Si tratta di un gruppo multidisciplinare di cui i referenti sono: lo pneumologo Federico Lavorini, l’infettivologo Alessandro Bartoloni, il cardiologo Iacopo Olivotto, la coordinatrice del personale infermieristico Laura Rasero. E poi ci sono anche geriatri, immunologi, radiologi, neurologi. «La grande disponibilità del personale medico, tecnico, di laboratorio e infermieristico è da sottolineare», osserva Fattirolli. I controlli clinici già eseguiti in ospedale a Careggi si avvicinano ai 200. Ma il numero è in continua evoluzione.

E cosa è emerso dalle interviste telefoniche e poi dai controlli clinici? Che il virus lascia dietro di sé degli strascichi. «In particolare – osserva il medico – i dati emersi dalle interviste telefoniche ci confermano che a un mese dalle dimissioni spesso permangono ancora stanchezza, dispnea, ridotta capacità funzionale ovvero non si riesce a fare ciò che si faceva prima. Questo incide soprattutto nei primi mesi poi gradualmente si riduce». A evidenziare questi problemi sono oltre il 30% dei pazienti. Oltre il 20% dice di avere ancora tosse. Mentre quelli che dicono di non aver ripreso i sensi del gusto e dell’olfatto sono intorno al 15%. Ma c’è un altro sintomo che rimane nell’ordine di oltre il 20%: è l’insonnia. Un sintomo che ha a che fare probabilmente più con la componente psicologica che clinica. «Molte persone – aggiunge Fattirolli – ci dicono di avere problemi del sonno che è inquieto e disturbato. Ma ci raccontano anche di timori e di senso di paura». La malattia colpisce in profondità anche la psiche delle persone che rimangono segnate, per un po’, da quest’esperienza.

Dal punto di vista clinico invece, al controllo dei 3 mesi, per il momento non ci sono conseguenze preoccupanti. «Fortunatamente gli esiti a distanza sono in prevalenza limitati. In buona parte delle persone che sono state analizzate approfonditamente c’è una guarigione dall’infezione e un buon recupero dai problemi soprattutto a livello polmonare – sottolinea il medico –. Quelli che invece ancora hanno questo tipo di problematica sono inseriti in un programma ulteriore di controlli. Anche questi potrebbero risolversi. Ma ancora non lo sappiamo». Le conseguenze di tipo polmonare sono quelle più frequenti. «La funzione respiratoria, anche sulla base dei test effettuati – continua –, è relativamente normale ma in alcuni, all’analisi della TAC del torace, restano dei segni a livello della struttura del polmone che denotano, con molta probabilità, gli esiti della malattia».

Con attenzione sono da valutare poi le persone che avevano già una patologia, per esempio di tipo cardiologico o respiratorio, prima del Covid. «Queste situazioni, con le complicanze portate dall’infezione del virus, hanno necessità di essere controllate e seguite nel tempo in modo approfondito e rientrano nei controlli di secondo livello», aggiunge Fattirolli.

Dopo la parte assistenziale, c’è l’aspetto scientifico del programma avviato dall’azienda ospedaliera universitaria. «Questa ricerca – sottolinea il medico – ci sta insegnando tutto perché di questa malattia non sapevamo niente. Tutti abbiamo dovuto imparare tante cose, ognuno per la sua parte. Alcuni aspetti sono stati imprevedibili: prima di tutto la capacità di reazione al virus, la necessità di essere veloci a capire, analizzare, studiare, interpretare il virus. Lo stiamo vedendo anche nell’ambito dei vaccini». Per questo la raccolta dei dati si è allargata: in questo momento ci sono molti ricercatori impegnati nei vari settori e Careggi sta partecipando anche a un progetto di studio regionale coordinato dall’Azienda regionale di sanità.

Il professore, infine, si sofferma sulle misure adottate per contenere il contagio. «Siamo in tutto il mondo invitati a seguirle. Sono accorgimenti che non sono diversi da quelli adottati nei precedenti periodi storici: stiamo lontani, copriamoci la bocca, laviamoci le mani». E poi rileva la situazione complicata, con tanti malati da seguire, in condizioni difficili. «Vivo quotidianamente in ospedale: la pressione sui nostri reparti è alta. Come anche in tutta la società. Dovremo fare i conti con questa situazione ancora per lungo tempo. Se seguiamo le regole in modo rigoroso, abbiamo la possibilità di tornare a una vita normale. Ma ognuno deve fare la propria parte. Dobbiamo essere una comunità – conclude Fattirolli – che si prende cura di se stessa».