Toscana

ANGOLA, OLTRE 1300 I MORTI PER IL COLERA, LA TESTIMONIANZA DI UN MISSIONARIO

“L’epidemia si aggrava di giorno in giorno a causa della precarietà delle condizioni di vita della maggior parte degli abitanti di Luanda”: a parlare è don Luigino Frattin, missionario della Società delle missioni africane (Sma), che la MISNA ha contattato a Luanda. La conferma alle parole del missionario italiano arriva direttamente dall’Organizzazione mondiale della Sanità che, nell’ultimo bollettino inviato nel primo pomeriggio, fissa a 1324 il numero dei decessi e a 36.238 quello dei contagi. “Solo nelle ultime 24 ore – si legge nella nota – l’epidemia ha fatto registrare 432 nuovi casi e 15 decessi. L’epidemia interessa 10 delle 18 province del paese, con un tasso di mortalità del 4%”.

Don Frattin opera nel quartiere di Kicolo, all’estrema periferia nord-orientale di Luanda, una zona cresciuta a dismisura negli ultimi 10 anni, prima con l’arrivo dei profughi causati dalla guerra e recentemente per i flussi di sfollati da altri quartieri dopo l’avvio di grandi opere urbanistiche nella capitale di 6 milioni di abitanti. Questo esteso agglomerato di casupole e baracche rappresenta un punto d’osservazione ottimale per comprendere le ragioni dell’eccezionale epidemia di colera che da febbraio è in corso in un paese che finora non si era mai trovato a fare i conti con il vibrione.

“In queste zone non c’è igiene, non c’è acqua potabile, non ci sono fogne e vivono 400.000 persone. Bisogna solo venire a vedere con i propri occhi per capire cosa significhi questo da un punto di vista pratico. Nelle nostre strade ci sono montagne di spazzatura, il governo ha promesso di organizzare la raccolta di rifiuti ma intanto questi restano in bella mostra ovunque” dice il missionario alla MISNA.

“Nel paese è in corso una massiccia campagna d’informazione sulle precauzioni da adottare per non prendersi il colera e tra la popolazione c’è un certo allarme, ma c’è anche una buona dose di rassegnazione a una malattia che è legata soprattutto alla povertà in cui sono destinati a vivere” aggiunge. Questa rassegnazione, le difficoltà nei collegamenti e la scarsa fiducia nelle strutture sanitarie nazionali contribuiscono ad alimentare l’abitudine di molti a lasciarsi morire a casa. “Posso confermare che sono molti quelli che non vanno in ospedale, perché ritengono di essere ricevuti male o perché non trovano un’assistenza adeguata, e che muoiono in casa” aggiunge il missionario, confermando i timori, espressi anche da organizzazioni non governative (ong) e agenzie internazionali, che il numero delle vittime di questa epidemia di colera sia in realtà molto più alto dei già altissimi bilanci ufficiali in circolazione. “Sta arrivando il cosiddetto Cazimbo, cioè la stagione secca, speriamo che almeno questo aiuti in parte a frenare l’epidemia” conclude don Frattin.Misna