Toscana

Agricoltura, sei milioni di danni per i prodotti toscani taroccati

Prendi una polverina di incerta origine, versala in un recipiente con quello che viene spacciato per mosto – ovviamente di dubbia natura – e, oplà, il gioco è fatto e in meno di un mese il «Chianti» è servito. È un «giochino» che si faceva nelle fiere di paese nei primi anni del ’900. Oggi è uno dei tanti episodi di pirateria agroalimentare che fanno della Toscana la regione più «taroccata» del mondo. Un’attività che provoca danni enormi all’immagine e all’economia.

Una perdita da 6 miliardi di euro l’anno per il Pil agricolo della regione che in termini di occupazione costa 30 mila posti di lavoro, più di quelli «persi» negli ultimi 48 mesi. Secondo i dati diffusi da Irpet e Unioncamere, la Toscana ha, infatti, perso in 4 anni 22 mila posti di lavoro. «La Toscana ha un potenziale occupazionale inespresso enorme – commenta Tulio Marcelli, Presidente Coldiretti Toscana – la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari costano alla nostra regione 30 mila posti di lavoro che si potrebbero creare con una seria azione di contrasto a livello nazionale e internazionale. La politica deve però decidere che strada prendere, e soprattutto da che parte stare se vuole dare una risposta seria, convinta, decisa alla crisi occupazionale che stiamo vivendo».

L’imitazione dei prodotti colpisce le specialità più rappresentative dell’identità alimentare nazionale com’è stato evidenziato dall’esposizione della Coldiretti sui casi più strepitosi di pirateria alimentare nei diversi continenti dove sono state scovate delle inquietanti aberrazioni. La Toscana ha partecipato a questo particolare salone con il kit in bustina fai da te di vino Chianti e Montepulciano scovato in Inghilterra e in Svezia, il Chianti californiano, il «Tuscan Moon» spacciato per un vino sangiovese ma che di toscano non ha davvero nulla. Poi c’è il «Salame» prodotto in Danimarca, il «Fennel Pollin Saleme», venduto in accoppiata al vino, ancora toscano, il «Romulo», extra virgin olive oil prodotto in Spagna, la polenta prodotta in Spagna fino al pecorino con tanto di marchio giusto per rassicurare il consumatore, «natural and italian» (naturale e italiano). Tutti esempi di concorrenza sleale.

Proprio dalla Toscana, sono partite una serie di azioni a sostegno della legge salva olio per garantire etichette trasparenti, chiare, leggibili, e non ingannevoli a dimostrazione che la legge italiana deve fare di più per tutelare i «suoi» prodotti. La Toscana è, malgrado tarocchi e compagnia bella, la regione simbolo non solo della qualità agroalimentare, della varietà (primato con 465 specialità alimentari) e del paesaggio ma anche un marchio di qualità facilmente vendibile sul mercato che piace veramente a tutti.

«L’agricoltura toscana sta già applicando, grazie anche al sostegno della Regione Toscana – spiega ancora Marcelli – la ricetta della nostra organizzazione presentata a Cernobbio per far tornare centrale, nell’economia, l’agricoltura. Torneremo alla terra: è un processo già in stato avanzato come dimostrano tutti gli indicatori. I giovani che lavorano o vogliono lavorare in agricoltura sono in aumento mentre l’indice economico di produttività è in saldo positivo, ed è l’unico. Ci sono tutti i presupposti per una nuova rivoluzione agricola in Toscana ma la politica – conclude sottolineando il nodo cruciale dell’azione per sostenere il vero Made in Italy – deve decidere da che parte stare. Vogliamo leggi chiare e decisive».