Toscana

Amministrazioni di sostegno, i dubbi ancora da sciogliere

Ma il Coordinamento per la salute mentale non è il solo ad aver ricevuto segnalazioni in merito a una discutibile applicazione della legge sull’amministrazione di sostegno quantomeno in psichiatria. Anche a noi ne sono pervenute diverse dopo che a più riprese ci siamo occupati del problema, una prima volta nel luglio del 2015, poi in occasione dell’11° convegno del Coordinamento stesso, nel dicembre dello stesso anno, infine lo scorso febbraio dopo un evento sull’argomento promosso, proprio in seguito ai nostri servizi, dalla Consulta della salute mentale di Firenze. E si può purtroppo verificare, due anni e mezzo dopo quel primo nostro intervento, come la chiarezza e la trasparenza in merito siano ancora lontane. Dai due casi di allora, per quanto ci riguarda, siamo passati a cinque, più una sesta segnalazione ricevuta dalle Marche ad opera della sorella di un paziente con doppia diagnosi (tossicodipendenza e problematiche psichiche), di fatto estromessa dalla sua tutela. Per i casi toscani, abbiamo incontrato i diretti interessati che ci hanno raccontato le loro storie. Grande risonanza mediatica ha poi avuto il caso di Jacopo P., portato in tv a maggio in una puntata delle Iene anche grazie allo psicoterapeuta Roberto De Certo.Tutti queste storie, peraltro assai diverse tra loro, sono accomunate dall’assegnazione dell’amministrazione di sostegno a un legale nonostante la disponibilità dei familiari a sostenere quel ruolo. Si ha come la sensazione che talvolta si preferisca, da parte del giudice tutelare, ascoltare il solo parere dei servizi di salute mentale, che suggeriscono questa scorciatoia soprattutto nei casi di rapporti complessi, se non conflittuali, con i congiunti degli utenti, escludendoli di fatto dal loro ruolo fondamentale di «attori» nel percorso di cura del loro caro. Così il familiare che magari richiede maggiore attenzione può divenire un problema in più ed è certo più comodo bypassarlo con un amministratore esterno, nonostante la legge preveda di privilegiare i parenti fino al quarto grado: un ventaglio di scelta quindi ampio, utile e, in molti casi, certamente sufficiente a evitare l’eccessivo coinvolgimento emotivo del congiunto più stretto. Ma che probabilmente non sempre viene sondato a sufficienza, preferendo attenersi più che altro alle relazioni dei servizi stessi – che, a ben vedere, non sono parte neutra ma parte in causa – e conferire l’incarico ad avvocati che magari si trovano a gestire decine di situazioni. Con quale attenzione possano riuscire a farlo e quali possano essere i contraccolpi sull’assistito, anche dal punto di vista terapeutico, è tutto da verificare. Certo che, ascoltando i parenti, l’impressione è quella di un’ulteriore esasperazione delle situazioni e che tali prassi finiscano per ampliare le fragilità anziché ridurle.Una buona legge come quella sulle amministrazioni di sostegno può dunque rivelarsi un’arma a doppio taglio se non viene applicata correttamente o se ne tradisce lo spirito. Quel che serve, tanto per cominciare, è un monitoraggio completo delle situazioni che riesca a fornire le cifre, provincia per provincia, della cifra totale di amministrazioni di sostegno di utenti psichiatrici in rapporto alla popolazione e del numero di quelle affidate a familiari rispetto alle altre in carico a professionisti, evidenziando eventuali diversità di approccio e trattamento del problema, a livello territoriale, di per sé già eloquenti. E, per quanto riguarda gli avvocati che svolgono questo ruolo, il numero di casi affidato a ciascuno di loro – nella speranza che, anche solo in nome del buon senso, venga fissato un tetto massimo insormontabile e, soprattutto, ragionevole – nonché l’«equa indennità» riconosciuta loro dai giudici tutelari per ciascun assistito. «Non si capisce infatti perché – sottolinea ancora Galileo Guidi – in un articolo apparso sul Corriere della Sera siano state fornite le cifre relative al tribunale di Milano, con il 60% delle amministrazioni affidate a familiari e il restante 40 a professionisti, mentre da noi non si riesca ancora ad avere trasparenza su questi dati».