Toscana

Bancopoli toscana: concentrazioni necessarie ma il locale vince ancora

di Andrea FagioliNegli ultimi anni abbiamo assistito ad una forte concentrazione delle banche toscane, ovvero di quegli istituti di credito che hanno la direzione generale nella nostra regione e che quindi, di fatto, qui sono nati e operano. Pensiamo, ad esempio, al Monte dei Paschi con la Banca Toscana o alla Cassa di Risparmio di Firenze con quella di Pistoia e Pescia e la Findomestic, o ancora alla Cassa di Risparmio di San Miniato con il Banco di Lucca. Ma pensiamo anche all’arrivo di soggetti esterni come la Banca Popolare di Lodi con le ex Casse del Tirreno o la Banca Popolare di Vicenza con Cariprato… Cosa c’è dietro a questi nuovi assetti proprietari?

Lo abbiamo chiesto all’economista fiorentino Aldo Bompani, ordinario di Economia degli intermediari finanziari, esperto di tecnica bancaria di cui è stato docente, consulente e revisore contabile di diversi gruppi industriali e finanziari.

Professor Bompani, era necessaria questa concentrazione?

«Il processo di concentrazione era negli auspici di tutti da quando, 15 anni fa, partì la legge Amato che si riproponeva proprio di realizzare un processo di concentrazione e di crescita dimensionale delle banche italiane. Questo processo è avvenuto e direi che non vi è stata nessuna ferita per la concorrenza proprio perché, nel frattempo, rispetto ai gruppi tradizionali come il Monte dei Paschi di Siena o la Cassa di Risparmio di Firenze, sono entrate nella altre banche soggetti esterni come la Popolare di Lodi nelle ex Casse del Tirreno o la Popolare di Vicenza in Cariprato. Quindi l’equilibrio concorrenziale è rimasto».

Qual è l’aspetto positivo, se c’è, delle concentrazioni e perché era voluto?

«Era voluto per realizzare le dimensioni ottimali, per dare vita a quelle economie di scala che sono auspicate da tutti e che si erano verificate nei Paesi che già avevano banche dimensionalmente maggiori e sia pure a prezzo di esuberi, che piano piano si vanno riassorbendo, perché non c’è dubbio che la fusione tra banche porta anche alla concentrazione dei servizi. Ma non c’è nemmeno dubbio che così si realizzano quelle economie che consentono alle banche di rimanere sul mercato e di non gravare eccessivamente con gli interessi sulla clientela delle imprese».

È dunque una questione di sopravvivenza?

«Certo. Non si poteva farne a meno».

A questo punto, quali sono le banche per così dire «più toscane»?

«Ci sono molte banche che hanno i centri decisionali qui, nella nostra regione: il Monte dei Paschi di Siena, con una presenza in tutto il territorio nazionale ma con una concentrazione particolare in Toscana con gli sportelli propri e con quelli della Banca Toscana; la Cassa di Risparmio di Firenze; di proporzioni minori la Banca popolare dell’Etruria e poi una realtà che ha preso maggior piede negli ultimi tempi, quella delle Banche di credito cooperativo, le ex Casse rurali. Queste banche hanno aumentato gli sportelli, si sono potenziate e stanno prendendo piede anche perché i loro tempi di reazione su certe decisioni che gli imprenditori richiedono sono molto rapidi. Non c’è da sentire, come per altre banche con le teste fuori regione, cosa ne pensa Milano, cosa ne pensa la direzione centrale…».

E poi, considerate come Federazione, le Banche di credito cooperativo sono una trentina e quindi una presenza numericamente consistente.

«Consistente e non più legata solo al comune di insediamento come succedeva in passato. Tornando però al discorso delle banche più toscane, c’è da dire che l’autonomia l’hanno mantenuta anche la Cassa di Risparmio di San Miniato o quella di Volterra».

Ha senso difendere la «regionalità» delle banche? È un valore o no?

«Non c’è dubbio che sia un valore. Innanzitutto perché, come dicevo prima, i tempi di reazione sono più rapidi e dalle statistiche di Banca d’Italia risulta che le principali operazioni di finanziamento all’imprenditoria vengono dalle banche locali. Pensiamo ad esempio nel senese al Monte dei Paschi, a Firenze alla Cassa di Risparmio, nell’aretino alla Popolare dell’Etruria, nel pisano zona Santa Croce alla Cassa di Risparmio di San Miniato, in Val di Cecina alla Cassa di Risparmio di Volterra. Questa presenza insomma c’è e si sente».

E Cariprato ce l’ha fatta a difendere il suo legame con il territorio?

«Dalle cifre di bilancio mi risulta che non ha perso posizioni».

Per l’economia toscana, la presenza di queste banche è dunque importante?

«È una presenza che si tocca con mano. Queste banche sono importanti per l’economia regionale».

Parliamo di Fondazioni, ovvero degli enti proprietari di molte banche. Com’è cambiato il loro ruolo?

«Le Fondazioni si dibattono tra la figura e il ruolo di holding bancarie e di erogatrici per il terzo settore. Tutti i governi (di centradestra e di centrasinistra) e tutti i ministri dell’economia hanno cercato di allontanare le Fondazioni dal controllo delle proprie banche. Eppure, proprio qui in Toscana sono presenti due delle tre grosse banche in cui le Fondazioni sono ancora azionisti di riferimento: il Monte dei Paschi e la Cassa di Risparmio di Firenze (la terza è Genova). L’alternativa a questo sarebbe limitare le Fondazioni ad iniziative d’intervento nei confronti delle realtà locali con i proventi che vengono loro dagli investimenti delle somme ritratte dalla vendita delle banche».

Perché non si vuole che le Fondazioni controllino le banche?

«Perché si vorrebbe consegnare le banche al management, alla professionalità dei dirigenti di carriera ed evitare i condizionamenti delle Fondazioni. Ma l’errore, soprattutto da parte della Banca d’Italia, è stato quello di far entrare al posto delle Fondazioni le banche straniere: Si fanno entrare tanto siamo in grado di controllarle…. Ma poi non è stato così perché da chi ha la maggioranza, anche se relativa, non ci si può attendere un atteggiamento da convitato di pietra».

L’ultima questione riguarda i comuni utenti delle banche. Il rapporto non è facile, c’è molta diffidenza. Ma ci possono essere dei vantaggi rivolgendosi ad una banca piuttosto che a un’altra?

«Che ci siano differenze, cioè condizioni più vantaggiose tra una banca e un’altra direi di no. Non c’è una concorrenzialità accentuata come in certi settori dell’industria anche se non si versa in quella situazione di quasi oligopolio che è il settore assicurativo. La posizione delle banche è una posizione intermedia. Quindi non c’è da aspettarsi condizioni di conto di maggior favore. L’imprenditore saggerà e metterà a confronto le varie componenti del rapporto, cioè i tempi di risposta, la misura degli interessi, le modalità di capitalizzazione degli interessi stessi, i giorni di valuta… Il privato che invece chiede il mutuo, diciamo che è più vincolato, ma oggi ci si può fare un’acculturazione abbastanza rapida anche consultando i giornali specializzati. Dal punto di vista del depositante, infine, a rendere oggi meno pregnante il discorso è il fatto che in un conto corrente tra avere lo 0,80 o avere lo 0,75 non c’è la differenza che c’era 12 anni fa quando si spuntava anche il 6 o 7%. Oggi conta più la comodità dello sportello. E poi va detto che gli interessi molto bassi non sono negativi in quanto significa interessi bassi anche sul credito pubblico, interessi bassi a cascata sulle imprese. C’è poi il problema delle spese per la tenuta del conto, ma torno a dire che a livello di depositanti il problema si è molto ridimensionato. Insomma, non ci sono banche che fanno regali rispetto a banche usuraie».

Troppe connivenzeper i «furbetti di quartiere»Da mesi ormai si parla di Bancopoli, quasi a riecheggiare il triste periodo di tangentopoli. Preoccupa che questo ennesimo scandalo, ancora una volta, sia venuto alla luce non per iniziativa politica, ma grazie alle attenzioni della magistratura. La stessa Bankitalia, che per prima avrebbe dovuto smascherare incredibili illegalità, è stata travolta nella persona del suo governatore Fazio per connivenza o, nella migliore delle ipotesi, per cecità. Lo chiarirà il giudice. Le cronache hanno lumeggiato a sufficienza come furbetti di quartiere – Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci, Emilio Gnutti, Giovanni Consorte, Sergio Billè e collaboratori vari – giostrando sulla passività dei consigli di amministrazione, hanno tentato di far lievitare quattro soldi per impadronirsi di banche e di quotidiani, senza trascurare nel contempo un arricchimento personale in men che non si dica, anche sottraendo sistematicamente spiccioli sui conti correnti dei clienti. E se negli ultimi giorni le cronache si sono accanite contro Giovanni Consorte e compagni, c’è una ragione. Egli, presidente tutto fare dell’assicurazione Coop Unipol, strettamente legato alla consorteria oggi accusata di associazione a delinquere, ha tradito lo spirito cooperativistico, ha tradito quel «La Coop sei tu». E poiché l’Unipol è costituita dal concentrato delle più potenti Coop, meraviglia come tanti dirigenti, alcuni dei quali degnissimi, abbiano solo scodinzolato attorno all’onnipotente Consorte e taciuto di fronte a tanta sfrontatezza e appropriazione indebita. Hanno solo atteso l’iniziativa della magistratura. Anche qui: quanta la connivenza e quanta la cecità?Vittorio Massaccesi Le tappe delle scalatea Bnl e AntonvenetaTutto comincia nel luglio 2005, quando appaiono sui quotidiani le prime intercettazioni telefoniche tra l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e il banchiere Giampiero Fiorani, e poi quelle di tanti altri, che hanno per argomento la scalata finanziaria dell’ex Popolare di Lodi, ora Bpi, su Antonveneta, e di riflesso d’Unipol sulla Banca Nazionale del Lavoro, e al «Corriere della Sera».

• 25 luglio. Pubblicati i testi delle prime intercettazioni telefoniche che mettono sotto accusa Fazio per i suoi rapporti con Fiorani e il suo ruolo nelle due scalate. In precedenza, il 12 luglio, la Banca d’Italia aveva dato il via libera all’Opa e all’Opas di Bpl, appena rinominata Banca Popolare Italiana. Fiorani e altre persone sono iscritte nel registro degli indagati dalle procure di Roma e Milano.

• 3 agosto: Per l’allora ministro dell’Economia Siniscalco è in gioco la credibilità internazionale dell’Italia.

• Settembre. Il caso arriva alla Banca centrale europea che segue con attenzione le vicende italiane.

• 22 settembre: Siniscalco si dimette, ritorna Tremonti. Il premier Berlusconi sfiducia Fazio perché ormai «incompatibile» con la credibilità internazionale dell’Italia.

• 23 settembre: il presidente e amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, è convocato in Procura a Roma.

• 29 settembre: il consiglio superiore di Bankitalia conferma la fiducia a Fazio; lo stesso giorno dalla Procura di Roma filtra la notizia che il governatore è indagato per abuso d’ufficio dall’inizio d’agosto.

• Ottobre e novembre trascorrono tra indagini giudiziarie, notizie economiche e polemiche politiche.

• Dicembre: Unipol, la compagnia di assicurazioni delle cooperative – la terza in Italia per importanza – risulta indagata dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta.

• 13 dicembre: partono gli arresti da parte della magistratura milanese. L’ordine di custodia cautelare riguarda, tra gli altri, l’ex numero uno Fiorani.

• 15 dicembre: Consorte è iscritto nel registro degli indagati a Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata a Bnl. Quattro giorni dopo anche il suo vice Ivano Sacchetti è indagato.

• 19 dicembre: il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio si dimette.

• 12 gennaio 2006: Ormai l’affare delle scalate rischia di trasformarsi in una polveriera: Silvio Berlusconi incontra i magistrati romani che indagano sulla scalata alla Bnl. Scopo della visita fornire notizie di cui si era detto in possesso sui Ds e l’Opa sulla banca romana. Al termine dell’incontro lo stesso premier ammette: credo di non aver detto nulla di penalmente rilevante. Il segretario Ds Fassino denuncia: sarà una campagna elettorale avvelenata.Ennio Cicali Tilli (Confcooperative):«Ma il mondo delle coop è sano»«Non si possono generalizzare fenomeni di malgoverno di poche cooperative a fronte della sana gestione delle 75mila che in Italia adempiono alla loro missione mutualistica e che rappresentano oltre il 7% del Pil nazionale». Gianfranco Tilli, presidente di Confcooperative Toscana alza la voce contro la campagna di «denigrazione» che a seguito delle vicende Unipol-Bnl, sta investendo il mondo della cooperazione. «Vale la pena di ricordare – precisa Tilli – che la nostra Confederazione, che si ispira alla dottrina sociale della Chiesa, è l’associazione che raggruppa il maggior numero di cooperative con oltre 430.000 addetti ed è pertanto a livello nazionale il sindacato più rappresentativo».

Tilli ricorda come a difendere questo movimento cooperativo sia sceso in campo anche il Presidente della Camera, Pierferdinando Casini, che ha ribadito come non si possano confondere «forme patologiche di degenerazione o episodi di malcostume con la cooperazione, con il mondo di milioni di cooperatori di diverse estrazioni ideali che meritano considerazione e rispetto».

«In questi giorni – osserva Tilli – vengono dette molte inesattezze riguardo ai rapporti con il Fisco; tengo a chiarire che noi imprenditori della cooperazione non siamo degli evasori e troppo spesso si fa impropriamente riferimento ad agevolazioni fiscali, dimenticando peraltro che la legge Vietti ha stabilito grosse limitazioni in materia».

Parlando della Toscana, Tilli evidenzia che «le oltre 4.000 cooperative, con circa 60.000 addetti, sono un bene da difendere sia dal punto di vista economico che sociale, dato che operano proficuamente in tutti i settori dell’economia regionale, sono fortemente radicate sul territorio e producono ricchezza e occasioni di lavoro. Una dimostrazione del fatto che le centrali della cooperazione toscana Confcooperative, Agci e Lega hanno agito nell’esclusivo interesse delle cooperative, come testimoniano atti recenti compiuti a tutela della cooperazione, mirati allo sviluppo sostenibile e alla buona occupazione in Toscana».

Tilli conclude annunciando che «a dimostrazione del fatto che Confcooperative Toscana è particolarmente attaccata alla missione cooperativa e mutualistica, il 3 febbraio abbiamo organizzato, presso la facoltà di Economia di Firenze, un incontro intitolato «Mutualità e cooperazione: garanzia per la trasparenza» a cui parteciperanno, oltre al Segretario Generale di Confcooperative Vincenzo Mannino, esperti del settore per discutere di mutualità prevalente, peculiarità di un mondo della cooperazione che deve ogni giorno rinnovare i fini mutualistici per cui è stato fondato».

E l’antitrust indagasui costi dei conti correntiL’Antitrust accende il faro sui costi dei servizi bancari, aprendo un’indagine conoscitiva per vederci chiaro su tariffe che, secondo i consumatori, sono le più alte d’Europa. Forte dei nuovi poteri arrivati con la legge sul risparmio, che gli affida anche la vigilanza sulla concorrenza fra le banche, il presidente Antonio Catricalà assicura che l’inchiesta sarà a tutto tondo e promette interventi contro il caro-sportello. Una mossa molto apprezzata dalle associazioni dei consumatori e per la quale l’Abi promette la massima collaborazione, sottolineando però che le tariffe italiane sono allineate a quelle degli altri Paesi europei.

Il presidente dell’ Antitrust ha ricordato che per la gestione dei conti correnti «si va dai 30 euro dichiarati dall’Abi fino ai 200 denunciati dai consumatori»: ma la lente dell’Antitrust verrà puntata anche sui trasferimenti e la chiusura dei conti, una voce le cui spese, sempre secondo i consumatori, ammontano «a 100 euro, mentre le banche ne dichiarano 35/40». A giudizio di Catricalà, infatti, «’i costi dei trasferimenti devono essere stabiliti prima, immutabili ed equi, e anche i tempi dei trasferimenti devono essere ridotti». Per l’indagine, che dovrebbe partire entro fine mese, sarà comunque «importante la collaborazione dell’Abi e della Banca d’Italia».

Il sistema bancario toscano