Toscana

«Basta ai giovani italiani con il foglio di via»

di Federico Fiorentini

«Per una nuova economia sociale, globalizzazione ed immigrazione» è stato il tema di un convegno, presso il Palagio di Parte Guelfa a Firenze, parte di una campagna di sensibilizzazione sostenuta da «Anolf Giovani di 2° generazione». Se Anolf (Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere) è un’associazione di immigrati a carattere volontario promossa da Cisl, la sua divisione «Giovani di 2° generazione» si pone l’obiettivo di rappresentare i figli di espatriati nati o cresciuti in Italia. Costituitasi come gruppo di coordinamento nel 2007, ha assunto anch’essa lo statuto di associazione di volontariato nel 2010, annoverando oltre 15.000 aderenti. L’incontro è stato aperto e presieduto da Cristina Prioreschi, segretario provinciale Cisl Firenze, che ha delineato la difficile situazione dei figli di immigrati, che «condividono con i loro coetanei il senso di precarietà e la mancanza di progetti di una vita schiacciata sul presente, ma che devono anche affrontare l’angoscia del permesso di soggiorno, e l’ingiustizia di non poter partecipare a numerosi concorsi pubblici.

Aiutarli a trovare stabilità e serenità è una sfida che la società civile, unita nell’appello «basta ai giovani italiani con il foglio di via», non può esimersi dall’accogliere». Come ha infatti spiegato Maruan Oussaifi, presidente nazionale Anolf Giovani, la sua associazione si batte perché l’attuale normativa sulla cittadinanza (la Legge 91 del 1992) venga riformata radicalmente secondo la proposta Sarubbi-Granata, per la quale diventerebbe automaticamente cittadino italiano chi è nato o entrato nel territorio nazionale entro il quinto anno di età, nel caso in cui almeno uno dei genitori risulti legalmente soggiornante in Italia per almeno cinque anni. «La legge vigente – ha chiarito Oussaifi – prevede che il figlio di immigrati, che sia nato nato in Italia e vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età, acquisti la cittadinanza nel caso in cui avvii una pratica prima del raggiungimento del diciannovesimo anno». Dunque un procedimento non automatico (occorre l’esplicita volontà del richiedente) e che dipende dalla soddisfazione di alcuni requisiti ritenuti da Oussaifi irragionevoli: «Non è giusto che venga richiesta una residenza “ininterrotta” per due motivi: anzitutto non ha senso che una famiglia non possa trasferirsi temporaneamente in un’altra nazione senza compromettere irrimediabilmente il futuro dei figli.

Inoltre, soprattutto con l’attuale crisi occupazionale, è raro che un immigrato sia sempre in regola con i permessi di soggiorno, dato che basta non abbia un lavoro certificato per sei mesi per trovarsi in una condizione di illegalità». Maruan, ventiquatrenne nato a Frosinone da padre tunisino e madre italiana, si considera fortunato: «L’unione mista dei miei genitori mi ha permesso di sfuggire ai problemi e alle preoccupazioni di tanti altri ragazzi, la cui permanenza nel nostro paese è sempre in forse. L’Italia è l’unico paese europeo nel quale vale lo ius sanguinis e non lo ius soli, uno statuto giuridico che va assolutamente cambiato: non è giusto che chi nasce, cresce, si crea amicizie e affetti in un territorio non ne sia cittadino. Si tratta di una battaglia culturale su cosa vuol dire essere italiano».

Numerosi gli interventi all’interno di una manifestazione che, a detta di Giovanni Ronchi della Segreteria fiorentina della Cisl, ha inteso «coinvolgere la società civile su un problema che riguarda tutti, e che può essere risolto solo partendo al basso, dal territorio e dalle istituzioni locali, soprattutto in un momento come questo, dove la politica nazionale sembra interessata a tutt’altro». Yolanda Alvarado, presidente Anolf Firenze di origine peruviana, identifica il traguardo che si è posto l’associazione nella «vittoria dei pregiudizi di quanti temono la diversità, facendo in modo che si aprano a una contaminazione proficua e consapevole e dimostrando che gli immigrati non rappresentano un problema, ma una risorsa: questi ragazzi non solo pensano e sognano in italiano, ma contribuiscono attivamente allo sviluppo sociale, economico e culturale del paese che ha accolto i loro genitori».

Significative le testimonianze di Yosr Hedhili e Khalid Ezzouhzi, responsabili per il coordinamento Anolf Giovani rispettivamente per Firenze e Prato. Studenti universitari magrebini (lei tunisina, lui magrebino), rivendicano una «italianità che si costruisce ogni giorno, in un paese che non è di chi lo governa, ma di chi lo abita». Le istituzioni toscane sono state rappresentate da Salvatore Allocca (assessore regionale al Welfare), che ha assicurato un impegno «nel promuovere politiche non di integrazione, ma di adattamento reciproco», e Cristina Giachi, assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Firenze, che ha ribadito che la «promessa del sindaco Renzi di estendere agli immigrati il diritto di voto alle amministrative verrà mantenuta».

LA SCHEDADurante il convegno la ricercatrice Irpet Teresa Savino ha offerto un quadro statistico della situazione regionale dei figli di immigrati: «Quello delle seconde generazioni è un fenomeno numericamente rilevante, che trasforma i progetti migratori in stabilizzazione. La condizione nella quale vivono, inoltre, rappresenta un metro di valutazione delle politiche di integrazione». L’incidenza delle seconde generazioni sul totale dei residenti stranieri in Toscana si attesta al 12,8%, con una punta del 19,7% nella Provincia di Prato. E ancora, nelle scuole toscane sono iscritti 53.276 studenti stranieri (il 10,9% del totale), e di questi il 23,3% (12.395) appartengono a seconde generazioni.

Alle cifre Irpet si aggiungono poi le riflessioni tratte da interviste e testimonianze, che dimostrano come «ancor più dei loro coetanei autoctoni, gli studenti stranieri affrontino con incertezza il periodo successivo alla scuola dell’obbligo, dato che la famiglia raramente si dimostra capace di orientarne le scelte.

Genitori e figli condividono comunque l’idea che l’istruzione rappresenti uno strumento per avviare un percorso di mobilità ascendente sia dal punto di vista professionale che sociale: l’unica sicurezza è infatti quella su “cosa non vorrebbero fare”, ossia il mestiere dei loro padri e madri».

Da una parte dunque il rifiuto di occupazioni «dequalificate», la debolezza dei percorsi scolastici e formativi (certificata dai risultati generalmente non brillanti dei test Invalsi) e l’esiguità di capitale sociale (essenziale per accedere a numerosi lavori) a disposizione dei figli di immigrati; dall’altra le peculiarità del tessuto economico toscano (basato su piccole imprese che spesso assumono sulla base di relazioni interpersonali) e italiano, con un tasso di disoccupazione giovanile estremamente elevato, sono tutti fattori che concorrono a provocare quella che Savino definisce «una discrasia fra le aspettative crescenti delle seconde generazioni e la discriminazione indiretta che agisce a loro sfavore nel mercato del lavoro: un problema di mismatching che rischia di aggravarsi rapidamente e al quale occorre trovare risposte adeguate».