Toscana

Benedetto XVI ripete con Wojtyla: «Non abbiate paura»

I primi passi del pontificato di Benedetto XVI mostrano già un Ratzinger inedito. Non solo per chi ne aveva un’immagine stereotipata, di inflessibile «guardiano della fede», ma anche per chi lo conosceva più da vicino. Il nuovo papa ci appare come un uomo mite, che non teme il contatto con la folla, ma che al tempo stesso non si lascia travolgere. Un «padre» dolce, che sorride e sa anche essere ironico. Un pastore che non ha «programmi» precostituiti, ma che si vuol lasciar guidare dallo Spirito e dall’ascolto della sua Chiesa. E che pur con un suo stile e una sua personalità, si mette decisamente nel solco del suo predecessore per ripetere al mondo, con Karol Wojtyla, l’invito a «non aver paura» di Cristo.

Parlando in tedesco ai suoi connazionali, ricevuti lunedì scorso in udienza, il Papa ha raccontato per la prima volta, andando spesso a braccio, «qualcosa del conclave», pur «senza violare il segreto». «Non ho mai pensato di essere eletto né mi sono mai dato da fare perché ciò avvenisse, – si è confidato Ratzinger – ma posso dirvi che quando ho visto che questa ghigliottina si avvicinava, allora ho pensato: “Fino adesso avevo creduto che l’opera della mia vita fosse finita e mi aspettassero anni più tranquilli”. Dicevo, quindi, al Signore: “Dio, risparmiami questo, Tu hai candidati più giovani, migliori, con più slancio e più forza di me”. Ma evidentemente in questa situazione il Signore non ha potuto ascoltarmi».«In quei giorni – ha proseguito – quello che mi ha toccato al cuore è stata una piccola missiva che mi ha inviato un confratello del Conclave. Egli mi ricordava la mia omelia pronunciata durante il funerale dell’amatissimo Giovanni Paolo II. In quella occasione scelsi di ripetere la preghiera: “Se il Signore ti chiama sii ubbidiente e non ti negare”. Il confratello mi ricordò che proprio io avevo ripetuto quel “non ti negare” ed allora non ho più avuto altra scelta ed ho detto di sì…». «Le strade del Signore non sono comode – ha concluso – ma noi non siamo fatti per essere comodi e quindi non ho potuto fare altro che dire sì. Ho fiducia nel Signore e ho fiducia in voi, cari amici».C.T.La Messa in piazza San PietroTra riti e applausil’inizio del ministerodi Gianni RossiOre 5,30 di domenica 24 aprile. Al binario della Metro un gruppo di giovani pellegrini tedeschi prega e canta. Continuerà a farlo anche sul treno, fino alla stazione di Ottaviano San Pietro. È il giorno solenne dell’inaugurazione del Pontificato o – come con definizione meno consueta, ma forse foriera di nuove sottolineature teologiche, è scritto sul libretto della celebrazione – dell’«Inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma Benedetto XVI».

Gli occhi del mondo sono tutti su Piazza San Pietro. Il clima è emozionante, la piazza si piena velocemente. Striscioni e bandiere di decine di nazioni diverse colorano l’enorme assemblea. I giovani sono tantissimi. Anche questo è un segno, forse non scontato, ma sorprendente soltanto per coloro che, in questi anni, hanno voluto leggere con le mere categorie dei sentimenti – e non con quelle della ragione e della fede – il rapporto di Giovanni Paolo II con le nuove generazioni.

Benedetto XVI appare sui maxi-schermi. Ha inizio la celebrazione, con una novità carica di significati. Il Vescovo di Roma sosta al «Trofeo» dell’Apostolo Pietro, sotto l’altare della Confessione. Trophaeum (vittoria, in latino) è il termine che indicava il corpo o le reliquie di un martire. Quasi un ritorno alle origini. Quando il Papa fa ingresso in piazza esplode un boato di applausi. Dai primi piani degli schermi giganti appare chiaramente che, nonostante la ieraticità della figura parata d’oro (curiosità: la casula e la mitria furono confezionate dal Monastero toscano di Rosano, la prima per Giovanni Paolo II, la seconda per Ratzinger cardinale), Benedetto XVI è emozionato, teso. La gente che ho d’intorno se ne accorge e commenta benevola, con simpatia. Applaudirà ben 35 volte l’omelia, misurata eppure palpitante con quel ripetuto rivolgersi agli «amici» fedeli, ricca di contenuti e di simboli ma chiarissima come pochi teologi – e Ratzinger è uno dei più prestigiosi al mondo – sanno fare.

Se il discorso era il momento forse più atteso, senza dubbio sono stati i due riti dell’imposizione del Pallio e quello della consegna dell’«anello del Pescatore» a emozionare. Abolita già da Paolo VI la tiara, questi due «simboli», ripristinati ora nella sua pregnanza originaria (bellissimo il Pallio dalla foggia nuova che in molti avranno riconosciuto nei mosaici di Ravenna), dicono tutto del Ministero Petrino: il «giogo di Dio», il Pastore, il Pescatore di anime, l’intima unione con la Chiesa.

«Cari amici – soggiunge Benedetto XVI nell’omelia –: in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge, voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri». Sì, «portarci gli uni gli altri».

Avevamo timore per la pesante eredità lasciata da Giovanni Paolo II. Eppure il popolo di Dio, quello semplice, è più sapiente di tanti osservatori, dentro e fuori la Chiesa. L’entusiasmo della gente in piazza dice che l’ex «guardiano della fede» è il Papa di tutti, che ha già fatto cadere i sospetti che qualcuno pur ha avuto all’annuncio dell’elezione. «Ci voleva proprio un Papa di grande fede, che desse sicurezza a tutti», commenta al termine la mia vicina di posto, una signora della Cintura milanese.«Benedetto XVI, il Papa che ci sorprenderà», ha titolato nell’ultimo numero Toscanaoggi. Ora sono in tanti a crederci. L’incontro con i giornalistiUn Joseph senza fronzolicosì poco spettacolaredi Mauro BanchiniC’era attesa e curiosità davanti al gesto di Benedetto XVI nei confronti dei giornalisti: incontrarli nella sala udienze ancora prima dell’insediamento ufficiale è certo un forte gesto di attenzione nei confronti di un ambiente che Giovanni Paolo II aveva dimostrato di conoscere e, forse, di dominare.

La incredibile copertura mondiale dei media, dal Vaticano, in un ultimo mese nel quale è successo proprio di tutto, contribuiva ad aumentare la curiosità per una udienza fissata alle 11 di una giornata importante pure per un altro motivo, assolutamente non paragonabile al primo: la nascita del Berlusconi bis. Le auto blu dei politici italiani scivolano nel traffico romano con i vetri posteriori anneriti in modo da impedire il riconoscimento degli occupanti.

La sala Nervi, alle 10, è già piena di una piccola folla di giornalisti accreditati da tutto il mondo. Ma è così grande che nei settori in fondo vengono fatti entrare gruppi di ragazzi: si faranno sentire con i soliti cori ritmati («Benedetto vieni qui») per il nuovo papa venuto dalla Baviera.

Tutti lo aspettiamo dal fondo: chissà perché si è sparsa la voce di un’entrata «teatrale». Ma l’entrata vera è di un altro tipo: alle 11 spaccate (che diamine…) papa Ratzinger spunta in alto dall’ingresso a sinistra, per noi che guardiamo. Rivedendo in tv questa «entrata» così poco spettacolare si scopre un particolare sfuggito in diretta: una specie di timidezza nel volto di una persona che di norma è definita in tutt’altra natura. Ratzinger dà poco spazio agli applausi dei giornalisti e ai cori ritmati dei ragazzi in fondo. Si siede subito e comincia alle 11,06 («Illustri Signori, gentili Signore») terminando alle 11,14 («Per intercessione della celeste Madre di Cristo, invoco abbondanti su ciascuno i doni di Dio, in pegno dei quali imparto la mia Benedizione»): otto minuti d’orologio.

Inizia in lingua italiana e prosegue in inglese, francese e tedesco per poi tornare all’italiano. Non dice una parola in spagnolo e la giornalista iberica seduta davanti si gira per manifestare il suo stupore. Che abbia voluto dare un segnale alla Spagna delle nozze gay? Chissà.

Cita due volte il Concilio e sottolinea la «straordinaria rivoluzione mediatica che ha investito ogni aspetto e ambito dell’umana esistenza». Ricorda, condividendo, come il suo predecessore abbia notato lo stretto rapporto fra comunicazioni sociali e «revisione pastorale-culturale» obbligatoria per una Chiesa che voglia «affrontare in modo adeguato il passaggio epocale» in cui è immersa. Invita giornalisti e operatori a non scordare la loro «responsabilità etica» specie per quanto riguarda «la sincera ricerca della verità e la salvaguardia della centralità e della dignità» dell’uomo. Ringrazia per la straordinaria «copertura mondiale» data a quanto accaduto nell’ultimo mese.

Otto minuti passano veloci. Il papa venuto dalla Baviera blocca subito applausi e coretti. Inizia il Padre Nostro e impartisce la benedizione. Con un «grazie» e un «arrivederci» si congeda subito verso la porta da cui era entrato. Nessun fronzolo, nessuna concessione allo spettacolo, nessun timore di apparire essenziale e sobrio. Ma forse è proprio questo il messaggio che voleva dare al grande circo dei media: so che il vostro lavoro è importante e delicato, vi guardo con simpatia e con rispetto, ma ciascuno fa… il suo mestiere.

Fuori dall’aula una tv messicana intervista un gruppetto di bambini che si erano sgolati fino a pochi minuti prima. Gli operai preparano la piazza per la grande cerimonia del giorno dopo perché morto un papa se ne fa sempre un altro.

Discorso ai pellegrini tedeschi (25 aprile 2005)

Omelia nella Basilica di San Paolo (25 aprile 2005)

Omelia della Messa di inizio pontificato (24 aprile 2005)

Discorso ai giornalisti (23 aprile 2005)