Toscana

Carcere, un piano per prevenire i suicidi

di Federico Fiorentini

Sanità all’interno del sistema penitenziario toscano: l’assessore regionale alla Salute Daniela Scaramuccia ha presentato una delibera (approvata durante l’ultima giunta) tesa a individuare le «linee di indirizzo prioritarie per il biennio 2011-2012». Il recente passaggio definitivo delle competenze della sanità dei detenuti dal Ministero alle Regioni ha infatti reso necessario una riorganizzazione delle politiche in questo ambito, per le quali la Regione ha destinato – nel biennio in questione – 800 mila euro.

«Il nostro obiettivo – spiega l’assessore – consiste nell’equiparare, per quanto possibile, il livello dei servizi sanitari dei reclusi a quello dei cittadini liberi, rendendo disponibili anche all’interno degli istituti di pena le prestazioni offerte dagli ospedali nel resto del territorio toscano». Per questo motivo sono state coinvolte le Asl, il Centro Giustizia Minorile, il Prap (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria), il mondo universitario e quello del volontariato, concentrandone l’azione congiunta su quattordici direttrici di intervento; fra queste «iniziative specifiche per la salute dei minori e per fronteggiare il disagio psichico, sorvegliando i segnali indicatori del rischio di suicidio». I gesti di autolesionismo sono infatti molto diffusi nei penitenziari, e le tendenze suicide rappresentano «un’emergenza per la sua popolazione», che ricorre al gesto estremo con un’incidenza del 4% (contro lo 0,006% degli italiani fuori dalle mura carcerarie).

Un punto del programma a proposito del quale Scaramuccia manifesta particolare orgoglio è l’estensione dell’azione del Centro di Gestione del Rischio Clinico regionale (struttura nata nel 2005, con il compito di «migliorare gli standard di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria») anche all’interno degli istituti penitenziari: «In questo modo sarà possibile valutare i fattori di rischio peculiari di questi ambienti, esaminando i problemi che vi nascono e cercando soluzioni per implementare la sicurezza dei pazienti in carcere, facendo crescere contemporaneamente la professionalità di tutto il personale che lavora nelle carceri». In quest’ottica si inserisce anche l’attività di monitoraggio del laboratorio di Management e Sanità della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, chiamato a esprimere un giudizio (come già fa per «le performances di tutte le aziende toscane») sulla «capacità del sistema sanitario regionale di erogare servizi adeguati ai bisogni dei reclusi». Altre iniziative previste l’introduzione, anche all’interno degli istituti penali, della Carta dei Servizi Sanitari, già adottata dalle Asl, e l’impiego della telemedicina. Inoltre, provvedimenti di igiene ambientale per quanto riguarda i letti e la messa a norma degli impianti dei locali sanitari.

Durante la presentazione è intervenuto anche Amato Gesumino Dessì, rappresentante del Prap, che ha descritto il programma contenuto nella delibera come «un deciso passo avanti, che ci consente di superare la fase di semplice gestione dei servizi, promuovendone la qualità e monitorandone l’efficacia». Due i fattori che rendono complessa l’organizzazione sanitaria nei penitenziari: «Anzitutto lo spaventoso aumento della popolazione carceraria, che ci obbliga ad affrontare una situazione di crisi permanente, e poi la necessità di predisporre interventi ad hoc per soggetti che necessitano di attenzioni particolari». Giuseppe Centomani, direttore del Centro di Giustizia Minorile di Toscana e Umbria, vede nei progetti della Regione la possibilità di «spostare le priorità dei servizi dalla sicurezza per l’incolumità di tutti i soggetti coinvolti a un maggior rispetto per le esigenze di cittadini momentaneamente reclusi». Un rispetto declinato anche tramite «la promozione della salute, a cominciare dall’educazione a pratiche preventive e a un’alimentazione equilibrata: ci troviamo di fronte a un felice paradosso, dato che stiamo tentando di portare il benessere all’interno di luoghi nati per punire».

Infine Lorenzo Roccaro, direttore dell’Istituto Penale Minorile di Pontremoli, ha espresso soddisfazione nei confronti di un piano regionale «che non si è limitato a mutuare passivamente le precedenti norme ministeriali, ma è riuscito a declinarle rendendo possibile un miglioramento effettivo». Quello dell’Istituto di Pontremoli è «un caso unico in Europa, un progetto pilota estremamente sperimentale, trattandosi di un carcere minorile femminile». Una situazione particolare, che ha ripercussioni anche sui servizi sanitari: «Abbiano avviato dei percorsi di formazione e informazione mirati, coinvolgendo ginecologi e altri medici specialisti».

LA SCHEDASecondo un’indagine voluta dall’Agenzia Regionale di Sanità (Ars) che ha coinvolto quasi i tre quarti dei detenuti toscani (all’inizio del 2011 i penitenziari regionali contenevano 4552 carcerati, di cui 198 donne), il 33,2% di costoro soffre di patologie psichiatriche, fra le quali si segnalano disturbi derivati al consumo di stipefacenti (il 12,7%) e le nevrosi (10,9%), frequentemente legate al difficile adattamento alla reclusione. Ma fra i detenuti non si presenta una notevole incidenza di infermità solo di natura psichica, nonostante l’età media della popolazione carceraria si attesti sui 38 anni: il 39,8% soffre di infermità «internistiche», e al 25,2% sono state diagnosticati sia disturbi mentali che fisici. Solo il 27% dei reclusi, dunque, viene ritenuto sano. Particolarmente diffusi i problemi all’apparato digerente e le malattie infettive e parassitarie, oltre alla tubercolosi, che colpisce lo 0,4% dei detenuti contro lo 0,006% del dato generale nazionale. I dati Ars rivelano inoltre che i carcerati provenienti dal Maghreb e dagli altri paesi europei risultano generalmente godere di salute migliore rispetto agli italiani, anche perché statisticamente più giovani (circa una decina d’anni).