Toscana

Card. Betori ai politici: “gli obiettivi di dominio cercano di imporsi con la violenza e la morte”

“L’agire sociale e politico comporta modalità di azione attente agli altri, soprattutto ai più fragili e meno garantiti, con il coraggio di scelte che guardino al futuro nella costruzione di una convivenza coesa e partecipe. Ne stiamo avendo prova in negativo in questi giorni di guerra, in cui gli obiettivi di dominio cercano di imporsi con la violenza e la morte e in cui ci è chiesta apertura del cuore alla cura e all’accoglienza”. E’ uno dei passaggi dell’omelia dell’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori, che questa sera ha celebrato una Messa nella chiesa di San Firenze in preparazione alla Pasqua per le persone impegnate in ambito sociale e politico. “Su come la vita delle persone e le vicende della società siano conformi alla verità del diritto va misurato l’agire di chi si impegna negli ambiti sociali, politici, dell’amministrazione della cosa pubblica. C’è un’oggettività del bene comune, il «diritto con verità», la cui ricerca e il cui riconoscimento – ha proseguito Betori – costituisce il primo dovere di chiunque si pone al servizio della società. Al centro di questa verità c’è la dignità della persona umana e l’inviolabilità della sua vita, dal concepimento alla fine naturale, e al tempo stesso la costruzione delle relazioni sociali secondo il bene comune promuovendo la pace”.

Di seguito l’omelia del cardinale

La Settimana Santa aiuta a leggere il mistero della passione del Signore con i testi del libro di Isaia noti come i “Canti del Servo del Signore”. Questi è un mediatore tra Dio e il popolo, la cui missione è legata all’esperienza della sofferenza vicaria per la salvezza di «molti» (Is 53,12). Gesù stesso proporrà questa figura come chiave interpretativa della sua esistenza; la Chiesa vi riconoscerà una profezia messianica, indispensabile per comprendere Gesù e la sua missione, in particolare la sua Passione. Oggi è proposto il primo Canto, dove il Servo del Signore è presentato come colui su cui si posa il compiacimento di Dio, e per questo viene da lui scelto e dotato del suo Spirito. Sono parole che si ritrovano nei vangeli al momento del battesimo di Gesù, quando la voce dal cielo proclamerà: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17). Il Servo è allora svelato come il Figlio e l’eletto come l’amato, in quanto il suo è un legame unico con Dio.

Questa unicità ci è chiesto di riconoscere, con un assenso di fede che deve diventare amore. Lo chiede Gesù nel vangelo, proponendo a tutti di continuare verso i poveri il gesto di Maria di Betania, che cosparge di prezioso profumo i suoi piedi: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» (Gv 12,7-8). La missione del Servo è promuovere il «diritto» (Is 42,1.3.4), cioè giudicare i fatti attorno a noi secondo la volontà di Dio e prendere decisioni ad essa conformi. C’è una verità delle cose, garantita da Dio stesso, e il suo Servo ha il compito di mostrarla agli uomini, farla risplendere di fronte al mondo, così che il mondo si edifichi conformemente ad essa: «Proclamerà il diritto con verità» (Is 42,3). Su come la vita delle persone e le vicende della società siano conformi alla verità del diritto va misurato l’agire di chi si impegna negli ambiti sociali, politici, dell’amministrazione della cosa pubblica. C’è un’oggettività del bene comune, il «diritto con verità», la cui ricerca e il cui riconoscimento costituisce il primo dovere di chiunque si pone al servizio della società. Al centro di questa verità c’è la dignità della persona umana e l’inviolabilità della sua vita, dal concepimento alla fine naturale, e al tempo stesso la costruzione delle relazioni sociali secondo il bene comune promuovendo la pace. Ambedue questi riferimenti sono essenziali, perché perdendo il riferimento basilare alla persona e alla sua natura relazionale, si finisce per porsi obiettivi che si prestano a manipolazioni e travisamenti.

Il Canto del Servo del Signore, non solo illumina i contenuti dell’impegno storico esigendone la verità, ma offre indicazioni anche circa le modalità. Il Servo compirà la sua missione senza i caratteri dispotici del potere: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce» (Is 42,2). Il Servo non schiaccerà i deboli, secondo le dure leggi del mondo: «non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino della fiamma smorta» (Is 42,3), ma agirà con la mitezza e la cura dei poveri di cui darà prova suprema Gesù. L’agire sociale e politico secondo la rivelazione divina non comporta solo individuazione di corretti obiettivi, ma anche modalità di azione attente agli altri, soprattutto ai più fragili e meno garantiti, con il coraggio di scelte che guardino al futuro nella costruzione di una convivenza coesa e partecipe. Ne stiamo avendo prova in negativo in questi giorni di guerra, in cui gli obiettivi di dominio cercano di imporsi con la violenza e la morte e in cui ci è chiesta apertura del cuore alla cura e all’accoglienza. Il Canto parla di «prigionieri» e di reclusi (Is 42,7), lasciando comprendere che le strade della giustizia sono necessariamente cammini di liberazione e di libertà. Valori particolarmente in gioco nella guerra in Ucraina, in cui va riconosciuto il sacrificio di chi è pronto a mettere a repentaglio la propria vita per la libertà e l’identità di un popolo.E questo non riguarda solo il proprio popolo, perché, come indica il Canto del Servo l’agire sociale deve avere sguardi che vanno oltre gli stretti confini di una comunità, per sentirsi responsabili di una crescita che deve riguardare tutti, aprendosi ad orizzonti universali, che il testo profetico indica legando insieme il «popolo» e le «nazioni» (Is 42,6). Ogni volta che l’umanità è messa in pericolo nei suoi fondamenti siamo tutti coinvolti.

Infine, già in questo primo Canto si prospetta per il Servo del Signore un futuro di prova e di sofferenza. Verso di lui si leverà l’ostilità, ma questa non lo vincerà: «non verrà meno e non si abbatterà» (Is 42,4). Questa prospettiva di ostilità la ritroviamo accentuata nella pagina evangelica, dove l’atmosfera familiare della mensa e un tenero gesto di affetto, devozione e venerazione, non possono cancellare la presenza incombente dell’odio di chi vuole la morte di Gesù. La proclamazione del diritto vero deve mettere in conto l’avversione e, come per Gesù, deve esprimersi nel dono di sé che non teme neanche il proprio sacrificio, la morte. Anche questo dono di sé, nella forma di un servizio disinteressato, costituisce una caratteristica fondamentale dell’impegno sociale. A questo spirito vi invito e in questo spirito vi auguro una felice Pasqua del Signore.

Giuseppe card. Betori