Toscana

Caritas Grosseto, 139.500 euro erogati attraverso prestito sociale della Regione

La Caritas diocesana di Grosseto – capofila nell’area socio-sanitaria grossetana del progetto, che ha visto il coinvolgimento di una vasta e variegata rete del volontariato sociale del territorio: Querce di Mamre, Acli, Ceis, Arciconfraternita di Misericordia e Arci solidarietà – ha presentato questa mattina i dati e il resoconto finale dell’iniziativa. Nell’area grossetana, spiega una nota, il percorso del prestito sociale è stato chiamato «Dare credito alle persone», proprio «per metterne in evidenza l’obiettivo principale» che non è «erogare contributi a pioggia per sopperire a generiche difficoltà economiche, ma dare una mano a coloro che, trovandosi in una situazione di fragilità, desiderano poter contare su una nuova opportunità per rimettere in moto la speranza e guardare con meno cupezza al loro futuro». E’ previsto, peraltro, che la somma ricevuta «in prestito» venga restituita  nell’arco di 36 mesi, secondo modalità concordate con gli operatori degli sportelli.

Sul territorio, prosegue la nota della Caritas di Grosseto, sono stati istituiti 8 sportelli-centri di ascolto, che da dicembre hanno raccolto 309 domande di accesso al prestito sociale, il 60% delle quali presentate da italiani. Di queste, ne sono state approvate 67, con una erogazione media di 2mila euro. La Caritas diocesana ha gestito circa il 75% delle pratiche. A partire dalla metà di gennaio e fino a metà febbraio c’è stata la fase di ricezione delle domande; allo sportello si sono alternati quotidianamente 4 volontari, oltre ai ragazzi del servizio civile Caritas, che hanno provveduto all’inserimento delle pratiche nel software che la Regione Toscana ha appositamente dedicato al progetto. «La forza di questo progetto – spiega il direttore del Coeso SdS, Fabrizio Boldrini – è stata proprio quella di mettere in rete istituzioni e volontariato in maniera ‘professionale‘».

Il direttore della Caritas, don Enzo Capitani, mette in guardia dal rischio che «l’opinione pubblica possa assuefarsi e pensare di delegare al volontariato o alle istituzioni il compito di preoccuparsi di chi è povero». Serve un «passaggio culturale», perché altrimenti «finiamo per costruire dei contenitori che si occupano dei poveri, mentre c’è bisogno di farsi interrogare dalle domande che i poveri portano come diritti».